Due docenti della facolta di medicina sono padre e figlio. La norma prevede che non può nominarsi Direttore del D.A.I. il soggetto che abbia parenti o affini fino al quarto grado incluso nella struttura che dovrebbe dirigere. I Docenti impugnano il decreto di esclusione del Rettore, il Consiglio di Stato lo sugella.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2 luglio - 4 novembre 2013, n. 5284
Presidente Severini – Estensore Carella
Fatto
Gli appellanti Bi. F. e B. A., rispettivamente padre e figlio, sono docenti presso la Facoltà di medicina e chirurgia della Seconda università degli studi di Napoli, inseriti nello stesso dipartimento assistenziale (DAS) di morfopatologia.
In primo grado essi hanno impugnato il decreto del Rettore 2 agosto 2007, n. 2101, con il quale è stato approvato l'atto aziendale dell'Azienda Ospedaliera Universitaria della seconda Università degli Studi di Napoli, limitatamente all'articolo 19, comma 14, nonché la deliberazione del direttore generale 6 settembre 2007, n. 736, di presa d'atto del citato decreto del Rettore.
Tale previsione dispone che non possono essere eletti e nominati "Direttore del D.A.I. (dipartimenti ad attività integrata) e non si può conservare l'incarico di direttore del D.AS. (dipartimenti assistenziali) qualora all'interno della struttura interessata vi siano parenti o affini fino al quarto grado incluso; la stessa disposizione si applica per la direzione di struttura complessa e di struttura semplice di cui ai successivo art. 26".
Il giudice adito, con la sentenza gravata, disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall'Azienda ospedaliera e quella per carenza di interesse attuale contrapposta dalle difese resistenti, dopo aver precisato il regime normativo entro cui s'inquadrano l'atto aziendale e la disposizione preclusiva impugnata, ha respinto con il ricorso la tesi dei ricorrenti secondo cui la mancanza di una espressa previsione di legge, che statuisca limitazioni al diritto di elettorato passivo o di nomina all'incarico di direzione di un dipartimento assistenziale, impedirebbe l'introduzione di disposizioni inibitorie come quella in argomento, con atto aziendale e andando al di là dell'ambito normativo di pertinenza degli statuti universitari.
Con l'appello, a mezzo di tre articolate doglianze, i signori B.F. e B. A. hanno contestato che l'ampio riconoscimento di autonomia universitaria, contenuto nell'art. 6 della legge 9 maggio 1989, n. 168 (Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica), possa legittimare una siffatta previsione limitativa; che, anche ad ammettere che rientri nell'ambito dell'autonomia disciplinare delle università degli studi l'introdurre ipotesi di incompatibilità soggettiva, una tale disciplina dovrebbe essere comunque demandata alla fonte statutaria e non all'Atto Aziendale, e a tal fine richiamano un precedente di questa Sezione del Consiglio di Stato (n. 1789 del 2009); che, secondo Corte costituzionale, 16 febbraio 2006, n. 60 (in riferimento a funzioni giudiziarie), caratteristica fondamentale delle cause di incompatibilità è la possibilità di rimuoverle con un atto di rinuncia all'attività o con trasferimento ad altra sede, ma in base a una scelta discrezionale del legislatore circa il tipo di attività reputata incompatibile o l'ambito territoriale d'incidenza.
Si sono costituiti in giudizio gli enti appellati che, con rispettive memorie, hanno riproposto le eccezioni di primo grado. In particolare, l'Università ha opposto ulteriori sopravvenute improcedibilità del gravame, atteso il collocamento a riposo del prof. F. B. per raggiunti limiti di età a decorrere dall'1 novembre 2010 e l'adozione del Codice etico, come integrato con decreto del Rettore n. 992 del 22 ottobre 2012, in attuazione dell'art. 2 della legge 30 dicembre 2010, n. 240.
All'udienza del 2 luglio 2013 la causa è stata posta in decisione.
Diritto
1.- L'appello è proposto dai signori B. F. e B. A. docenti universitari della Facoltà di medicina della Seconda Università degli studi di Napoli, rispettivamente padre e figlio (e che rivestono al contempo l'incarico di dirigenti di strutture sanitarie), contro la gravata sentenza e l'atto aziendale dell'Azienda ospedaliero-universitaria della Seconda Università degli studi di Napoli, impugnato in primo grado limitatamente all'art. 19, comma 14.
Come riportato in fatto, questa previsione impedisce di acquisire o mantenere l'incarico di capo dipartimento e la direzione di una struttura complessa o semplice per i professori universitari che abbiano, all'interno della struttura di appartenenza, parenti o affini entro il quarto grado. In pratica, introduce un caso di incompatibilità per vincolo di parentela.
I ricorrenti, con tre motivi di censura, contestano che l'atto aziendale di cui all'art. 3 d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, pur strumento-chiave di definizione del modello organizzativo e gestionale delle aziende ospedaliere universitarie, possa disciplinare ulteriori aspetti della vita universitaria, come quelli che incidono sul regime soggettivo delle incompatibilità e ineleggibilità dei docenti universitari, nonché, più in generale, sullo status soggettivo dei docenti, e così richiamano il precedente di questa VI Sezione 25 marzo 2009, n. 1789, che questo aveva affermato.
Resistono in giudizio l'Ateneo e l'Azienda ospedaliero-universitaria con una nutrita serie di preclusioni.
2.- Rileva il Collegio che, in linea preliminare, si può prescindere dalle eccezioni riproposte o in questo grado sollevate dalle parti resistenti, relative al contrapposto difetto d'interesse e al sopravvenuto difetto d'interesse, giacché l'appello merita di essere senz'altro respinto nel merito.
Va invece esaminata l'eccezione pregiudiziale di difetto di giurisdizione che è stata reiterata dall'Azienda opponente, in quanto mezzo che incide sulla potestas iudicandi del giudice amministrativo adito.
L'eccezione va però disattesa per le ragioni qui di seguito esposte.
Stando all'orientamento della Corte di Cassazione, ferma la giurisdizione amministrativa circa le vicende del rapporto lavorativo dei docenti universitari e fermo che per la loro componente sanitaria l'assistenza è attività compenetrata con didattica e ricerca, vanno distinte, con specifico riferimento ai medici universitari in servizio presso le Aziende ospedaliero-universitarie, le questioni che attengono allo status di docente universitario (di cognizione del giudice amministrativo) da quelle attinenti al rapporto lavorativo di carattere assistenziale con l'Azienda Ospedaliera (di cognizione del giudice ordinario), in particolare per ciò che riguarda qui l'impugnazione dell'atto aziendale di cui all'art. 3, comma 1-bis, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e successive modifiche (Cass., SS.UU., 22 dicembre 2009, n. 26960, e 30 gennaio 2008, n. 2031).
L'eccezione è da respingere alla stregua dei precedenti di questa Sezione, dai quali non sussiste ragione per discostarsi, secondo cui sussiste la giurisdizione amministrativa in materia di incompatibilità parentale, in applicazione dell'art. 2 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle universita', di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario) (Cons. Stato, VI, 4 marzo 2013, n. 1270) o nel caso della situazione disciplinata dal qui contestato art. 19, comma 14 (Cons. Stato, VI, 25 marzo 2009, n. 1789, cit.).
Invero l'atto aziendale in questione non può essere ridotto a mera espressione di autorganizzazione aziendale ovvero a espressione di meri aspetti gestionali, quando esprime anche un disegno organizzativo volto a conseguire obiettivi di rilevanza pubblicistica, come appare nella specie.
3.- In via generale, va osservato come la fattispecie qui in esame non riguarda una controversia di lavoro tra i docenti e l'azienda ospedaliero-universitaria per aspetti dell'attività assistenziale o una generica gestione del rapporto sanitario-ospedaliero, ma investe il regime delle incompatibilità e ineleggibilità dei docenti universitari, nonché - più latamente - lo status soggettivo dei docenti medesimi nell'ambito del rapporto di pubblico impiego e nel quadro dei collegati loro diritti-doveri secondo l'ordinamento universitario.
D'altronde, per quanto qui rileva, l'art. 3, comma 2, del d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 (Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed universita', a norma dell'articolo 6 della legge 30 novembre 1998, n. 419) stabilisce che l'atto aziendale delle aziende ospedaliero-universitarie disciplina, in particolare, "la costituzione, l'organizzazione e il funzionamento dei dipartimenti ad attività integrata" e individua "le strutture complesse che li compongono, indicando quelle a direzione universitaria", il tutto "sulla base dei princìpi e dei criteri stabiliti nei protocolli d'intesa tra regione e università"; il successivo comma 3 recita, poi, che "l'atto aziendale è adottato dal direttore generale, d'intesa con il rettore dell'università limitatamente ai dipartimenti ed alle strutture di cui al comma 2".
Nemmeno può essere trascurata la peculiarità del procedimento d'intesa per la nomina dei direttori generali delle aziende ospedaliero-universitarie e per l'adozione dell'atto aziendale (cfr. Corte cost., 17 maggio 2012¸ n. 129), tant'è che nel presente processo oggetto principale d'impugnazione è l'approvazione da parte del Rettore dell'atto aziendale e, in via accessoria, la deliberazione del direttore generale di presa d'atto del relativo decreto del Rettore.
Alla luce di tali considerazioni va quindi confermata la sussistenza della giurisdizione amministrativa.
4.- È anzitutto il caso di precisare che l'art. 19, comma 14, l. n. 240 del 2010 e art. 19, comma 14, del censurato atto aziendale), pur trattando del genere delle incompatibilità, regolano contingenze differenti del docente, in rapporto alla possibilità di accesso alla specifica posizione di stato e alla titolarità di un servizio presso l'università/azienda che avvia il procedimento; quindi si tratta di temi che vanno mantenuti distinti e da non sovrapporre.
La prima disposizione (art. 18, comma 1, lett. b) e c), legge 30 dicembre 2010, n. 240), infatti, sui procedimenti per la chiamata dei professori di prima e seconda fascia per il conferimento degli assegni di ricerca e per la stipulazione dei contratti da ricercatore a tempo determinato, stabilisce che “non possonopartecipare coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell'ateneo". Con ciò si incide su una vicenda propria del rapporto di servizio.
La previsione dell'atto aziendale, nel disporre che non possono essere eletti e nominati direttore dei dipartimenti ad attività integrata (D.A.I.) e che non si può conservare l'incarico di direttore dei dipartimenti assistenziali (D.AS.) o di direzione di una struttura complessa o di una struttura semplice “qualora all'interno della struttura interessata vi siano parenti o affini fino al quarto grado incluso”, influisce invece sulla preposizione all'ufficio e sulla sua durata. Con ciò, cioè, si incide su una vicenda propria del rapporto di preposizione organica.
Occorre qui stabilire se tali limitazioni al diritto di elettorato passivo e di nomina ai citati incarichi di direzione di un dipartimento assistenziale o di una struttura complessa o semplice possa essere introdotta tramite un semplice atto aziendale, con una previsione del tipo di quella in argomento.
L'assunto dei ricorrenti, secondo cui la mancanza di un'espressa previsione di legge impedirebbe l'introduzione di una siffatta prescrizione, è non fondato e le conclusioni del primo giudice meritano di essere condivise.
5.- In realtà, un tale divieto non è nuovo nel panorama dell'ordinamento giuridico universitario e si trova un riferimento nell'art. 4, comma 2, d.lgs. 7 maggio 1948, n. 1172 (Istituzione di ruoli statali per il personale assistente, tecnico, subalterno, infermiere e portantino, presentemente a carico dei bilanci universitari), ratificato con modificazioni dalla legge 24 giugno 1950, n. 465, a tenore del quale “Il coniuge, i parenti ed affini del professore ufficiale fino al quarto grado incluso, non possono essere assegnati, quali assistenti, alla cattedra di cui è titolare il professore stesso”.
Questo precetto, mantenuto in vigore dal d.lgs. 1 dicembre 2009, n. 179 (art. 1, comma 1, allegato 1), va ora posto in relazione all'evoluzione dell'ordinamento universitario, dapprima circa la competenza per i provvedimenti sul personale e il decentramento ministeriale dei servizi, poi con il principio generale di autonomia universitaria e, nello specifico, con la riorganizzazione delle attività clinico-sanitarie nel quadro del servizio sanitario nazionale e nel corrispondente contesto regionale.
In sintesi, la previsione censurata ripete un principio immanente nell'ordinamento sin dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972 (art. 15), successivamente costituzionalizzato dall'art. 97 della Costituzione come imparzialità e buon andamento, cui si riferiscono le previsioni normative illustrate, compreso il denunziato art. 19, comma 14.
Quindi gli atti impugnati, poiché solo danno attuazione al precetto di cui al ricordato art. 4 del d.lgs. n. 1172 del 1948, vanno esenti dalle censure mosse, e la mancata menzione da parte dell'amministrazione della legge di riferimento può essere superata in via interpretativa, a fronte di ipotesi, come quella qui in esame, dove è lamentata la lesione di un limite all'esercizio delle facoltà individuali, quando invece appare esistente una specifica norma attributiva di potestà limitativa e di una conseguente azione pubblica che, nella specie, risulta essere stata conforme a legge.
6.- A parte la non proponibile comparazione con le funzioni giudiziarie per la diversità funzionale e strutturale delle distinte situazioni, nemmeno merita accoglimento l'argomento dell'appellante secondo cui caratteristica fondamentale delle cause di incompatibilità è che possono essere rimosse con un atto di rinuncia all'attività o con il trasferimento ad altra sede; ma questo può avvenire in base a una espressa scelta del legislatore che va fatta in relazione al singolo tipo di attività reputato incompatibile o a un certo ambito territoriale d'incidenza.
Come ritenuto in sede consultiva da questo Consiglio di Stato, la norma in questione (art. 4, comma 2, d.lgs. n. 1172 del 1948), seppure imperfetta in quanto sfornita di sanzioni per il caso di sua inosservanza, si indirizza anziutto alla responsabilità degli interessati, che devono assumere le iniziative atte a rimuovere la situazione di incompatibilità (eventuale trasferimento a domanda, ecc.) e poi all'amministrazione che deve porre in essere forme di controllo appropriate ad evitare, per quanto possibile, tale inconveniente e reprimerà le violazioni compiute facendo uso del potere disciplinare (Cons. Stato, I, 10 novembre 1972, n. 2749).
La previsione in discorso solo indica un risultato da raggiungere anzitutto ad opera soggetti che sono reputati incompatibili e dunque sono direttamente interessati. Questo risultato può essere perseguito anche dall'amministrazione con altre modalità, secondo le norme proprie dell'azione amministrativa trasparente e imparziale, specie in un settore di particolare importanza quale la direzione di una struttura universitaria o mista assistenziale.
E' il caso ricordare, infatti, che un dipartimento ad attività integrata è organizzato come centro di responsabilità e di costo per garantire unitarietà di gestione, ottimale collegamento tra assistenza, didattica e ricerca, necessaria flessibilità operativa e che individua i servizi che, per economicità ed efficienza, sono comuni al dipartimento, per locali, personale, apparecchiature, strutture di degenza e ambulatoriali. Il direttore del dipartimento ad attività integrata assicura l'utilizzazione delle strutture assistenziali e lo svolgimento delle relative attività da parte del personale universitario ed ospedaliero per scopi di didattica e di ricerca; assume responsabilità di tipo gestionale nei confronti del direttore generale in ordine alla razionale e corretta programmazione e gestione delle risorse assegnate per la realizzazione degli obiettivi attribuiti, tenendo anche conto della necessità di soddisfare le peculiari esigenze connesse alle attività didattiche e scientifiche.
Ne discende, alla luce delle richiamate norme, che legittimamente l'atto aziendale contestato, strumento particolare d'intesa nell'organizzazione delle aziende ospedaliero-universitarie, ha potuto prevedere, in conformità alla citata legge n. 465 del 1950, le misure applicative per prevenire eventuali situazione generatrici di conflitti di interesse nello specifico settore.
7.- In conclusione, il ricorso va respinto con diversa motivazione, riguardando la controversia un criterio per l'affidamento di incarico di direzione nel contesto del rapporto di pubblico impiego dei professori universitari e inerendo la specifica incompatibilità parentale a un divieto di legge che riguarda l'organizzazione universitaria e, di riflesso, quella sanitaria.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, n. 2587 del 28 aprile 2008.
Condanna gli appellanti al pagamento delle spese di lite relative all'odierno grado che si liquidano forfettariamente nella misura complessiva di € 3.000,00 (euro tremila/00) in parti eguali a favore delle amministrazioni resistenti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
17-11-2013 09:13
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