Corte costituzionale. Sulla questione dell'art. 246 bis del d.lgs. n. 163/2006, che per le controversie in materia di appalti prevedeva l'applicazione di una sanzione pecuniaria quando la decisione è fondata su ragioni manifeste od orientamenti giurisprudenziali consolidati.
Corte Costituzionale, 27/12/2012 n. 316
ORDINANZA N. 316
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 246-bis del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, nel procedimento vertente tra la Tecnoservizi s.r.l. e il Comune di Contigliano ed altra, con ordinanza depositata il 3 novembre 2011, iscritta al n. 182 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2012.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Udito nella camera di consiglio del 5 dicembre 2012 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli.
Ritenuto che, con ordinanza depositata il 3 novembre 2011, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 23, 24, 97, 111 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 246-bis del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), introdotto dall'art. 4, comma 2, lettera ii), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106;
che la disposizione denunciata, rubricata «Responsabilità per lite temeraria», stabilisce, nell'ambito dei giudizi in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, che il giudice, fermo restando quanto disposto dall'articolo 26 del codice del processo amministrativo di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), «condanna d'ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria in misura non inferiore al doppio e non superiore al quintuplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio quando la decisione è fondata su ragioni manifeste od orientamenti giurisprudenziali consolidati»;
che il rimettente ipotizza, anzitutto, l'esistenza di un contrasto con l'art. 3 Cost., giacché la norma censurata, aggiungendosi all'istituto in materia di spese di lite disciplinato, in via generale, dall'art. 26, comma 2, del codice del processo amministrativo, penalizzerebbe “gravemente” chi intende accedere alla via giudiziale per tutelare la propria posizione soggettiva nel settore dell'affidamento di commesse pubbliche rispetto a chi propone azioni giudiziali dinanzi al giudice amministrativo in materie diverse, privilegiando al tempo stesso i soggetti economicamente “forti” a discapito di coloro che non sono in grado, sempre sotto il profilo economico, “di rischiare – in caso di insuccesso nella contesa giudiziale – di vedersi inflitta una condanna al pagamento di una importante sanzione pecuniaria”, oltre alla dovuta corresponsione del contributo unificato;
che sarebbe vulnerato anche l'art. 24, secondo comma, Cost., in quanto la forza dissuasiva del “pericolo di vedersi irrogare una sanzione pecuniaria”, a fronte della possibilità di contestare le illegittimità perpetrate da una stazione appaltante nella selezione per l'affidamento della commessa pubblica, confliggerebbe con il diritto inviolabile della difesa;
che sussisterebbe, altresì, la lesione dell'art. 111 Cost., nella sua declinazione di principio “della parità delle parti”, venendosi a determinare “una ingiustificata selezione in ragione delle capacità economiche dei concorrenti tra coloro che possono percorrere serenamente la via giudiziale rispetto agli altri concorrenti, meno abbienti”, che ad essa potrebbero rinunciare;
che sarebbe violato pure l'art. 113 Cost., in quanto “la potenziale inibizione alla tutela giudiziale in materia di appalti pubblici, provocata dal rischio di subire una condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria”, verrebbe a limitare la tutela dinanzi al giudice amministrativo;
che, inoltre, vi sarebbe contrasto con l'art. 23 Cost., non potendo la cosiddetta “giurisprudenza consolidata”, in quanto non ascrivibile al novero delle fonti del diritto, costituire la base legale per infliggere una sanzione pecuniaria, la cui disciplina generale è informata dal principio di legalità;
che anche all'art. 97 Cost., nella sua declinazione di principio di imparzialità e correttezza dell'azione della pubblica amministrazione, sarebbe inferto un vulnus, posto che l'espressione “giurisprudenza consolidata” non coincide con “una nozione di fonte giuridica certa e dai contorni definiti”, essendo arduo fissare “una soglia di consolidamento dell'interpretazione giurisprudenziale”, sempre soggetta a possibili mutamenti;
che, ad avviso del rimettente, tutti i parametri sopra evocati subirebbero una lesione anche qualora la parte soccombente non sia quella ricorrente, ma l'Amministrazione, come avvenuto nel caso di specie, posto che l'art. 246-bis del d.lgs. n. 163 del 2006, a differenza da quanto previsto dall'art. 123 cod. proc. amm., “non reca alcuna cautela processuale in favore del potenziale soggetto trasgressore” che sia soccombente nella lite e cioè non consente ad esso (anche nel caso si tratti dell'Amministrazione resistente) “di poter controdedurre e tutelare la propria posizione rispetto alla contestazione da parte del giudice amministrativo dell'affiorare dei presupposti processuali che possono condurre alla condanna al pagamento della sanzione pecuniaria”;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per una pronuncia di restituzione degli atti per ius superveniens o, comunque, per l'inammissibilità o infondatezza della questione.
Considerato che, successivamente alla pubblicazione dell'ordinanza di rimessione, l'art. 1, comma 3, lettera b), numero 9) del decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo a norma dell'articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69), inserendo nel corpo dell'art. 4, comma 1, di cui all'allegato 4 al decreto legislativo n. 104 del 2010 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) – concernente «Ulteriori abrogazioni» – dopo il numero 36), il «36-bis) decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163: articolo 246-bis», ha determinato l'abrogazione della norma denunciata;
che, peraltro, lo stesso d.lgs. n. 195 del 2011, all'art. 1, comma 1, lettera f), ha modificato l'art. 26, comma 2, del codice del processo amministrativo, rubricato «Spese di giudizio» – e cioè la norma che il rimettente assume a tertium comparationis – nel senso del recepimento, della disciplina già oggetto della norma speciale abrogata, nella norma più generale di cui, appunto, al citato art. 26, comma 2;
che, pertanto, alla luce del sopravvenuto mutamento del quadro normativo sopra descritto (con incidenza non solo sulla norma denunciata, ma anche su quella assunta a tertium comparationis), gli atti devono essere rimessi al giudice a quo affinché proceda ad una nuova valutazione della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione sollevata (tra le più recenti: ordinanze n. 232, n. 190, n. 180 e n. 168 del 2012).
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria
il 27 dicembre 2012.
Il Cancelliere
F.to: Roberto MILANA
19-01-2013 16:09
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