Bene demaniale? L'inserimento nell'inventario comunale non è presunzione di demanialità.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 26 marzo - 31 maggio 2013, n. 13852
Presidente Goldoni - Relatore Nuzzo
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 3.4.1991 la Parrocchia di Maria Santissima della Libera e San Sebastiano di San Severo, in persona del suo parroco e legale rappresentante pro tempore, premesso che dal 1954 aveva posseduto "uti dominus" il suolo adibito a cortile e giardino, censito in catasto alla partita 955, fg. 31, particella 834 ed intestato al Comune di San Severo, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Foggia, il Comune stesso per sentire dichiarare l'intervenuta usucapione di detto suolo in proprio favore.
Costituitosi in giudizio il Comune convenuto chiedeva il rigetto della domanda eccependo che la natura demaniale del bene in questione non ne consentiva l'usucapione; deduceva che, in ogni caso, la demanialità del suolo doveva presumersi, ex art. 22 L. 22/3/1865 all. F), trattandosi di spazio adiacente ad una via o piazza pubblica.
Assunta la prova testimoniale, con sentenza 18.10.2001, il Tribunale adito, rilevato che il Comune non aveva provato la demanialità del bene rivendicato dall'attrice, né aveva offerto elementi idonei a legittimare la presunzione di detta demanialità; accoglieva la domanda e condannava l'ente pubblico al pagamento delle spese processuali. Avverso tale sentenza il Comune di San Severo proponeva appello cui resisteva la parrocchia appellata. Con sentenza depositata in data 8.2.2006 la Corte di Appello di Bari rigettava l'appello e condannava l'appellante al pagamento delle spese del grado.
Osservava la Corte di merito, per quanto ancora interessa nella presente sede, che il Comune doveva ritenersi proprietario del bene in questione in forza dell'ammissione esplicita da parte dell'appellata, sicché non era ravvisabile l'interesse del Comune ad avanzare alcuna censura in relazione alla domanda di revindica; affermava, poi, che era onere dell'ente territoriale dimostrare l'esistenza dei presupposti per la presunzione "iuris tantum" di demanialità del bene.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il Comune di San Severo, in persona del sindaco p.t., formulando tre motivi.
Resiste con controricorso la Parrocchia Maria SS. della Libera e San Sebastiano, in persona del legale rappresentante, eccependo preliminarmente la tardività del ricorso.
Le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Il Comune ricorrente deduce:
1) violazione e falsa applicazione di norme di diritto e contraddittorietà e/o carenza di motivazione, laddove la Corte di appello aveva ritenuto che il riconoscimento della proprietà del bene in capo al Comune avrebbe fatto venir meno l'interesse a censurare la contraddittorietà della motivazione sul punto; considerato, invece, il difetto di prova sulla titolarità del diritto di proprietà, la Corte di merito avrebbe dovuto ordinare l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'effettivo titolare del diritto di proprietà;
2) violazione e falsa applicazione dell'art. 22 L. 22 marzo 1865 all. F), laddove, disattendendo la presunzione di demanialità del bene risultante dalla documentazione prodotta, il giudice di appello aveva, con motivazione insufficiente ed inadeguata, posto a carico del Comune l'onere della prova dei presupposti di detta presunzione, ritenuto che la produzione dell'inventario dei beni del Comune non costituiva indice di demanialità e che il Comune stesso aveva dichiarato che il suolo in questione faceva parte dell'edificio dell'ex convento dell'Addolorata, come pertinenza del Comune, così riconoscendo che il bene non sarebbe mai stato stabilmente inserito nel tessuto viario della città;
3) violazione e falsa applicazione di norme di diritto; contraddittorietà e /o carenza di motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio; la Corte d'appello, esclusa la demanialità del bene in questione, aveva ritenuto assorbito, ogni ulteriore doglianza, disattendendo il motivo di appello con cui si contestava la prova del possesso "ad usucapionem" da parte della Parrocchia e la mancata sdemanializzazione del bene.
Va preliminarmente rilevato che la sentenza impugnata risulta notificata, solo a fini esecutivi, essendo stata la notifica effettuata alla parte( Comune) e non al difensore costituito in appello sicché, ai sensi dell'art. 170, 1 co. c.p.c. e 285 c.p.c., tale notificazione è inidonea a far decorrere il termine breve d'impugnazione sia nei confronti del notificante che del destinatario, in quanto la conoscenza di fatto della sentenza, acquisita con modalità diverse da quelle specifiche alle quali la legge riconnette l'effetto della decorrenza del termine breve per l'impugnazione, ex artt. 325 e 326 c.p.c., ha esclusivamente funzione propedeutica all'esecuzione, ai sensi dell'art. 479 c.p.c. (Cass. n. 9431/2012; n. 13428/2010; n. 437/2007).
In relazione alla data di deposito di detta sentenza (8.2.2006) il termine lungo di un anno,prorogato di 46 giorni per il periodo feriale, andava, quindi, a scadere il giorno 25.3.2007 che, essendo festivo (domenica), era prorogato al 26.3.2007. Ne consegue che il ricorso è stato tempestivamente notificato in quest'ultima data.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di Appello ha, con logica e corretta motivazione, affermato che il Comune non aveva alcun interesse a veder accertata, eventualmente, la proprietà del bene in questione in capo ad altro soggetto, considerato che il Comune stesso, secondo quanto già ritenuto dal giudice di prime cure, ne aveva rivendicato la proprietà, ammessa anche dalla Parrocchia; la doglianza non coglie tale "ratio decidendi” riferita al difetto di interesse e, sotto tale profilo, non è ravvisabile la dedotta omessa integrazione del contraddittorio.
Le altre censure possono essere esaminate congiuntamente in quanto evidentemente connesse in relazione alla questione sulla natura demaniale o meno del suolo (adibito a cortile e giardino) oggetto di causa.
La Corte territoriale ha ritenuto inapplicabile la presunzione di demanialità del bene, ai sensi dell'art. 22 L. 22 marzo 1865 all. F), affermando con motivazione esente dai vizi denunciati; che non era desumibile la natura demaniale dell'area in questione dall'inventario dei beni appartenenti all'amministrazione comunale; che la stessa non aveva provato che il suolo oggetto di causa era adiacente ad una piazza o via pubblica, come tale inserito nel tessuto viario cittadino e destinato ad uso pubblico da parte della generalità dei cittadini ed aveva, anzi, riferito che il suolo in questione costituiva pertinenza dell'ex convenuto dell'Addolorata, di proprietà comunale, così escludendo che il cortile con giardino, oggetto di causa, potesse ritenersi ricompreso nel tessuto viario della città.
A fronte di tali valutazioni probatorie sul difetto dei presupposti oggettivi per ravvisare la demanialità del bene, la doglianza sulla violazione dell'art. 22 L. cit. è priva di fondamento, in quanto contrastante con il principio affermato da questa Corte, secondo cui detta norma stabilisce una presunzione di demanialità "iuris tantum", valevole per gli spazi ed i vicoli all'interno della città, adiacenti alla strade comunali o aperti sul suolo pubblico, superabile attraverso prova contraria, come avvenuto nella specie, sulla base dell'accertamento in fatto relativo alla mancata inclusione del bene nel tessuto viario della città (Cass. n. 1927/93; n. 23705/2009).
Va aggiunto che tale accertamento è riservato al giudice di merito ed è sindacabile in sede di legittimità solo per carenza, illogicità o contraddittorietà della motivazione (Cass. n. 238/2004), ipotesi non ricorrente nel caso in esame, essendosi la Corte attenuta a detti principi giurisprudenziali. Peraltro,una volta escluso dal giudice di appello il carattere demaniale del bene, non vi era luogo per un accertamento della relativa sdemanializzazione né per riesaminare la statuizione sulla declaratoria di usucapione in favore della Parrocchia appellata, posto che con l'atto di appello il Comune di San Severo si era limitato a negare del tutto genericamente l'avvenuto decorso del termine per usucapire al momento della proposizione dell'azione, omettendo di specificatamente contestare le prove acquisite in primo grado e poste a fondamento della decisione di primo grado. Il difetto di specificità del motivo di appello si ripercuote sul corrispondente motivo di ricorso, non essendo state enunciate le ragioni che escluderebbero la maturazione del termine per usucapire, a fronte della diversa valutazione del giudici di merito. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del Comune ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.
03-06-2013 22:29
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