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Sentenza

Attraverso il SUAP l'ntervento su un opificio è agevolato. Il Consiglio di Stato...
Attraverso il SUAP l'ntervento su un opificio è agevolato. Il Consiglio di Stato accoglie le tesi dell'imprenditore.
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 19 marzo - 6 maggio 2013, n. 2447
Presidente Numerico – Estensore Noccelli

Fatto

Con ricorso proposto avanti al T.A.R. Puglia, Pasquale Caldara, Angelo Bove, Cataldo De Laurentis, Pasqualino Diaferia, Francesco Falco, Mauro Leo, Cataldo Mangione, Ugo Donnarumma, Michele Di Gennaro, Antonio Nichilo, Filomena Olivieri, Vito Scaringella, Arturo Soldano, Luigi Tarantini, Nunzio Tarricone, Giuseppe Vangi, Rosa Porro, Vito Ferrara, Michele Campese, Arcangela Siena, Cinzia Pisicchio, Michele Lotito, cittadini residenti nel Comune di Corato (BA), impugnavano, in una con tutti gli atti connessi, presupposti e successivi, la deliberazione del Consiglio Comunale n. 48 del 12.9.2006, con la quale il predetto Comune approvava la variante urbanistica ai sensi del d.P.R. n. 447/98, consentendo la realizzazione dell'ampliamento dell'opificio già esistente del Pastificio Attilio Mastromauro – Pasta Granoro s.r.l. (d'ora in poi, per brevità e antonomasia, il Pastificio o la Granoro o il Pastifico Granoro).
I ricorrenti deducevano i seguenti motivi:
1) eccesso di potere per difetto di attività istruttoria; eccesso di potere per falsa rappresentazione dei presupposti di fatto; eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità manifesta;
2) violazione dell'art. 3 della l. 241/90, difetto assoluto di motivazione;
3) eccesso di potere per falsa rappresentazione dei presupposti di fatto; eccesso di potere per difetto di attività istruttoria; violazione e falsa applicazione della L.R. 11/01, artt. 16 e 17; violazione D.P.C.M. 14.11.1997; eccesso di potere per motivazione insufficiente, generica ed incongrua;
4) violazione e falsa applicazione dell'art. 55 della L.R. 56/80; violazione e falsa applicazione dell'art. 20 della L.R. 20/01;
5) violazione e falsa applicazione dell'art. 5 del d.P.R. 447/98.
Successivamente, in data 2.11.2006, il S.S.U.A.P. rilasciava in favore del Pastificio il provvedimento unico autorizzativo n. 1/07 e il Dirigente U.T.C. del Comune rilasciava il permesso di costruire n. 290 del 29.12.2006.
I ricorrenti impugnavano anche tali ulteriori provvedimenti con motivi aggiunti, ritualmente notificati, deducendo i seguenti ulteriori motivi di censura:
6) eccesso di potere per difetto di attività istruttoria; eccesso di potere per falsa rappresentazione dei presupposti di fatto; eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità manifesta sotto altro profilo;
7) violazione dell'art. 3 della L. 241/90, difetto assoluto di motivazione sotto altro profilo;
8) eccesso di potere per falsa rappresentazione dei presupposti di fatto; eccesso di potere per difetto di attività istruttoria; violazione e falsa applicazione della L.R. 11/01, artt. 16 e 17; violazione del D.P.C.M. 14.11.1997; eccesso di potere per motivazione insufficiente, generica ed incongrua sotto altro profilo;
9) violazione e falsa applicazione dell'art. 55 della L.R. 55/80; violazione e falsa applicazione dell'art. della L. 20/01 sotto altro profilo;
10) violazione e falsa applicazione dell'art. 5 del d.P.R. 447/98.
Si costituivano nel giudizio di prime cure il Pastificio e la Regione, contestando l'avversario ricorso, e ne chiedevano la reiezione.
Il T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, con la sentenza n. 3054 del 21.12.2007, annullava tutti i provvedimenti impugnati, condannando il Comune di Corato, la Regione Puglia e il Pastificio, in solido tra loro, alla rifusione delle spese processuali.
Avverso tale sentenza proponevano appello, con separati ricorsi, rispettivamente iscritti al n. 290/2008 R.G. e al n. 2666/2008 R.G., sia il Pastificio che la Regione Puglia, denunciandone l'erroneità, e ne chiedevano l'integrale riforma.
Si costituivano in entrambi i giudizi anche Pasquale Caldara e gli altri cittadini in epigrafe indicati, chiedendo il rigetto degli appelli e proponendo, in relazione ai motivi di ricorso respinti o dichiarati assorbiti dal primo giudice, appello incidentale.
Le cause venivano chiamate all'udienza del 19.3.2013 nella quale il Collegio, udita la discussione dei difensori, le ha trattenute entrambe in decisione.

Diritto

1. Preliminarmente il Collegio ritiene opportuno disporre la riunione dei giudizi, ai sensi dell'art. 70 c.p.a., essendo l'appello della Regione Puglia e quello del Pastificio rivolti contro la medesima sentenza e per ragioni pressoché identiche.
2. Gli appelli, ciò premesso, devono essere accolti.
2.1. Si controverte, nel presente giudizio, del ricorso con il quale alcuni cittadini del Comune di Corato (BA), residenti nelle vicinanze del Pastificio, hanno impugnato la variante in deroga al PRG vigente e il permesso di costruire rilasciati dal Comune al fine di autorizzare l'ampliamento dell'opificio per la realizzazione di un manufatto consistente in un magazzino automatico autoportante (c.d. MAA) con vari accessori edili allo scopo di razionalizzare ed innovare, adeguandolo alle attuali necessità logistiche e commerciali, il magazzinaggio di merce del Pastificio stesso.
Il T.A.R. ha annullato tali atti, accogliendo i primi due motivi di ricorso, ed ha ritenuto che la normativa da applicarsi al caso di specie per la variante in deroga, sulla quale si tornerà in seguito, non consenta di ampliare l'insediamento produttivo oltre il limite del doppio – o, ma sul punto la sentenza non appare chiara, del 40% – rispetto al volume originario e non già di quello esistente dell'insediamento all'atto dell'ampliamento in questione.
Avverso tale sentenza, come accennato, hanno proposto appello sia il Pastificio che la Regione Puglia, mentre i cittadini appellati, in epigrafe meglio indicati, hanno riproposto in via incidentale i motivi di appello respinti o dichiarati assorbiti dalla sentenza impugnata.
2.2. Preliminarmente deve essere esaminata l'eccezione, sollevata dall'appellante Pastificio, di inammissibilità del ricorso originario, proposto in prime cure, per difetto di interesse ad agire in capo ai cittadini che hanno impugnato gli atti.
Tale eccezione deve essere disattesa.
La difesa dell'appellante Pastificio assume che i ricorrenti in prime cure non avrebbero interesse ad impugnare la variante al PRG e il permesso di costruire, in quanto, se anche il loro ricorso fosse accolto, l'eventuale annullamento della variante in questione non potrebbe che comportare la conservazione della delibera di Consiglio comunale, nella misura in cui costituisca anche atto approvativo del progetto del Pastificio ai sensi dell'art. 7 NTA del PRG per il principio di conservazione degli atti amministrativi.
Ciò in quanto il T.A.R., con una precedente sentenza n. 1701/2005, aveva a suo tempo riconosciuto che il Pastificio avesse diritto all'ampliamento in conformità al PRG, ai sensi appunto del citato art. 7.
L'argomentazione non è condivisibile perché l'annullamento conduce all'eliminazione, dal mondo giuridico, dell'atto impugnato, senza che possa trovare applicazione il principio di conversione del contratto nullo (art. 1424 c.c.), che non si applica all'atto annullabile e, in particolare, al provvedimento illegittimo che venga annullato.
Nemmeno convince il rilievo secondo il quale, anche non ammettendo il principio di conservazione, resterebbe sempre l'obbligo del Comune di eseguire la sentenza del T.A.R. n. 1701/2005, che aveva riconosciuto la possibilità di ampliamento ai sensi dell'art. 7 NTA del PRG, di fare approvare il progetto ai sensi dell'art. 7 citato.
Un simile rilievo nulla toglie, infatti, all'utilità che i ricorrenti possono conseguire dall'eventuale pronuncia di annullamento del provvedimento che abbia assentito l'ampliamento ai sensi dell'art. 5 del d.P.R. 447/88.
Come ricorda, infatti, lo stesso Pastificio appellante (pp. 14-25 del ricorso in appello), la procedura di variante è stata effettuata ai sensi dell'art. 5 del d.P.R. 447/98 perché così sarebbe stato richiesto dal Comune, che, volendo evitare l'esecuzione della sentenza del T.A.R., ha indotto il Pastificio ad accettare e a richiedere al Comune stesso che fosse eseguita una procedura di variante ai sensi dell'art. 5 del d.P.R. 447/98.
Se così è, come afferma lo stesso appellante, deve riconoscersi che i ricorrenti abbiano tutto l'interesse a veder annullati gli atti di approvazione del progetto, ai sensi dell'art. 5 testé richiamato, sateso che è stato lo stesso Pastificio interessato, di fronte alla presunta volontà del Comune di non dare attuazione alla sentenza del T.A.R., ad aver “ceduto” a tale volontà, rinunciando agli effetti favorevoli della pronuncia giudiziale, come dimostra, da parte sua, proprio l'aver intrapreso la nuova e diversa procedura dell'art. 5.
Né, peraltro, varrebbe ad escludere a priori la legittimazione ad agire l'ipotesiche la sentenza del T.A.R., del resto appellata, possa essere eseguita effettivamente dal Comune soccombente e, in caso di inottemperanza, su impulso della parte vittoriosa, con conseguente approvazione dell'ampliamento ai sensi dell'art. 7, perché proprio il comportamento dell'una e dell'altra parte lascia ritenere, ad onta dell'esecutività del provvedimento, confermata in sede cautelare da questo Consiglio con ordinanza n. 4684/2005 (doc. 2 fasc. Pastificio), l'esatto contrario, essendo rimasto il dictum giudiziale del T.A.R. sino ad oggi lettera morta.
2.3. Deve anche essere disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso originario per il difetto di interesse in capo ai cittadini, che risiederebbero in edifici ubicati ad una distanza tale dal magazzino da non ricevere alcun effetto reale sul loro livello abitativo.
Non si può negare, come del resto non nega nemmeno lo stesso Pastificio appellante (cfr. pp. 19-20 e p. 27 del ricorso in appello), che molti dei ricorrenti abitino in edifici che si trovano sulle vie parallele, alcuni anche ad una distanza tra i 30 e i 60 mt, e che potrebbero essere interessati, in ipotesi, da eventuali fenomeni rumorosi, da proiezioni – anche limitate – del cono d'ombra o dall'aggravamento delle condizioni ambientali conseguenti al contestato ampliamento, sicché deve ammettersi che, in base al criterio della vicinitas, essi abbiano un interesse all'impugnazione di atti che potrebbero nuocere alle loro esigenze abitative di abitanti in prossimità dei luoghi.
Le considerazioni del Pastificio appellanteì relative al criterio della prevenzione, pur pregevoli anche sotto il profilo civilistico del richiamato art. 844 c.c., concernono, semmai, il merito della controversia e non già la preliminare sussistenza della legittimazione ad agire.
2.4. Occorre esaminare, ciò premesso sulle exceptiones litis ingressum impedientes, il merito della controversia, scrutinando i singoli motivi dell'appello.
Il T.A.R. ha fondato essenzialmente la pronuncia di annullamento sul rilievo che l'ammissibilità dell'intervento di ampliamento proposto debba essere verificata con riferimento alla originaria configurazione della struttura produttiva, così come esistente prima dell'ampliamento autorizzato con delibera C.C. n. 342 del 16.12.1983, pari – così si legge nel provvedimento oggetto di gravame (p. 12) – a 2.760 mq.
A questa conclusione il giudice di prime cure è giunto sulla scorta del rilievo che, secondo i principi generali in materia, “nella medesimezza dei riferimenti normativi e fattuali” (p. 13 della sentenza impugnata), i titoli autorizzatori di interventi edilizi sulla stessa area non possano che concorrere tra loro ai fini della consumazione della complessiva potenzialità edilizia e del raggiungimento delle soglie massime di edificabilità consentita.
Se così non fosse, argomenta, infatti, testualmente il T.A.R., “si realizzerebbe non solo una chiara elusione della normativa e dei limiti previsti, ma altresì una estrema incertezza sui concreti contenuti di edificabilità in ampliamento; una volta infatti ottenuta l'autorizzazione in ampliamento, non rileva se per il 40% o 100%, risulterebbe sempre e comunque possibile proporre una successiva istanza di ampliamento in termini percentuali ulteriori rispetto alla superficie o cubatura già autorizzata in ampliamento ai sensi del medesimo art. 7 N.T.A.; anzi paradossalmente – così opinando – la possibilità di ampliamento di stabilimento produttivo, in deroga e in variante rispetto al contesto urbanistico di riferimento, risulterebbe via via maggiore ed anzi in continua ed eterna espansione, con piena elusione dei limiti stabiliti” (p. 14 della sentenza impugnata).
2.5. Ma una simile argomentazione, per quanto suggestiva, non è persuasiva.
Occorre in primo luogo, sgomberando il campo dei “riferimenti normativi e fattuali”, per usare l'espressione del primo giudice, da ogni equivoco, “medesimezza” e, comunque, inopportuna sovrapposizione regolamentare, poiché ben diverse sono la fattispecie dell'ampliamento, previsto dall'art. 7 delle NTA del PRG, e quelle dell'ampliamento in variante, previsto dall'art. 5 del d.P.R. 447/98 e dal D.R.G. 2226/2003, sicché non appare corretta l'affermazione del primo giudice, secondo cui la norma sostanziale di riferimento di tutti gli ampliamenti, anche quelli oggetto di causa, sarebbe sempre e comunque l'art. 7 delle NTA annesse al PRG del Comune di Corato, norma che, peraltro, non prevede affatto il limite del 40%, come sembra affermare, sulla base di non meglio precisati riferimenti alla “citata normativa” (p. 9 della sentenza impugnata), il giudice di primo grado.
La presente fattispecie deve essere ricondotta, invece, alla corretta e sola sedes materiae che è, appunto, quella dei due ultimi richiamati provvedimenti normativi dell'art. 5 del d.P.R. 447/98 e della D.G.R. 2226/2003, che disciplinano la variante urbanistica semplificata per gli insediamenti produttivi.
Non è perspicua né corretta la commistione che il primo giudice sembra operare tra i due ambiti di regolamentazione, che concernono ipotesi ben distinte, perché rispondono a logiche normative ben differenti, traendone peraltro conseguenze, in termini di concreta disciplina, che non appaiono effettivamente rispondere, per quanto si è detto e si aggiungerà tra breve, al dato positivo.
2.6. Con il primo motivo i ricorrenti in prime cure avevano dedotto l'illegittimità della variante urbanistica semplificata per difetto di istruttoria e falsa rappresentazione dei presupposti di fatto, sia per la consistenza dei volumi e sia per la circostanza che l'amministrazione avrebbe ignorato che una parte dell'area di intervento era destinata a zona C di espansione ed una parte a zona E agricola.
Ma la pronuncia gravata, andando ultra petita, ha in realtà censurato i provvedimenti impugnati per profili giuridici non espressamente fatti valere dagli originari ricorrenti e con motivazioni, in punto di diritto, erronee.
Ciò premesso deve, infatti, rilevarsi, sul piano testuale, che l'art. 5 del d.P.R. n. 447/1998 non prevede alcuna limitazione quantitativa delle opere attraverso le procedure, ivi previste, preordinate alla realizzazione di determinati interventi.
Inoltre nella D.G.R. Puglia n. 2226/2003, che detta e dettaglia i profili applicativi della normativa statale, è chiaramente stabilito che, nei casi di ampliamento in variante al PRG ai sensi dell'art. 5 del d.P.R. 447/1998, per “AMPLIAMENTO si intende l'aumento della precedente dimensione dell'attività in atto sino al limite massimo del 100% dell'esistente superficie coperta e/o volume; si ritiene infatti che una quantità superiore configurerebbe nella sostanza una nuova realizzazione” (§ 1.4).
La disposizione è ben chiara nell'ancorare il concetto di ampliamento alla superficie esistente e non già a quella originaria, come ritiene il T.A.R.
Né appare persuasivo l'argomento del primo giudice secondo cui, così ragionando, la possibilità di ampliare uno stabilimento produttivo, in deroga o in variante al contesto urbanistico di riferimento, risulterebbe via via maggiore ed anzi in continua ed “eterna” espansione.
Proprio l'esistenza di una complessiva potenzialità edilizia e di soglie massime di edificabilità consentita, richiamate dallo stesso T.A.R., scongiura infatti questo rischio, facendo sì che l'ampliamento non assuma proporzioni “elefantiache” tali da porsi in contrasto con un ordinato assetto del territorio.
Accedendo all'interpretazione del T.A.R., invece, si mortifica proprio la finalità alla quale è preordinata la normativa in materia e, cioè, garantire la possibilità di un ampliamento, attraverso la procedura più snella dell'art. 5, che tenga conto degli spazi attuali dell'insediamento produttivo, essendo del tutto illogico ipotizzare che tale ampliamento possa essere rapportato alle dimensioni originarie dello stabilimento, specialmente nei casi in cui lo stabilimento sia stato costruito decenni addietro, ampliato nel corso del tempo parzialmente, e necessiti di maggiori spazi per incrementare la propria attività.
Ancorare il limite dell'ampliamento alle dimensioni originarie, infatti, vuol dire in ipotesi del genere vanificare del tutto la possibilità stessa di incrementare gli spazi produttivi, possibilità che non può non essere legata alle esigenze produttive attuali di un'impresa, per intrinseca logica delle cose, e non certo alla sua originaria configurazione, anche spaziale.
E la frustrazione della ratio che presiede a tale normativa si è verificata con conseguenze aberranti, esemplarmente, nel caso di specie.
È peraltro erroneo l'assunto dal quale muove il T.A.R., proprio nel caso di specie, laddove non considera che i precedenti ampliamenti della struttura erano stati assentiti, in parte, prima del 1980, anno in cui entrò in vigore il PRG del Comune di Corato, e in altra parte, tra il 1980 e il 1998, ai sensi dell'art. 7 delle NTA del PRG.
Questi ultimi, quindi, furono autorizzati non già in deroga, ma in applicazione del PRG vigente e, comunque, prima che entrasse in vigore il d.P.R. 447/98 e la DGR n. 2226/2003, che ne disciplina i profili applicativi a livello regionale.
Appare evidente dunque, al di là della censurata violazione dell'art. 112 c.p.c. (per aver il giudice pronunciato oltre i limiti dell'originaria domanda), l'error in iudicando nel quale lo stesso giudice è incorso per tale fondamentale aspetto interpretativo delle norme che disciplinano la materia.
2.7. La motivazione del primo giudice non è condivisibile nemmeno laddove ha ritenuto sussistente il vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria e per falsa ed erronea presupposizione.
La Regione, infatti, si è espressa in base alla considerazione completa dei parametri di progetto, tutti riportati analiticamente nel parere comunale (pp. 2-3) e richiamati poi, sinteticamente, nel parere regionale acquisito nella conferenza di servizi del 19.6.2006.
Né può ritenersi, come fa il T.A.R., che l'amministrazione si sia fondata su un presupposto di diritto erroneo, dato che, per le ragioni che si sono sopra evidenziate, l'interpretazione dell'art. 5 del d.P.R. 447/98 e del D.G.R. 2226/2003, data dal Comune, appare corretta e conforme alla ratio della disciplina in materia.
2.8. Occorre qui solo aggiungere che l'esito della verificazione, disposta nel presente giudizio, ha confermato che l'ampliamento richiesto non supera il doppio della superficie attuale.
Il T.A.R. ha errato nell'assumere a base della sua valutazione la superficie originaria, indicando peraltro in modo inesatto anche la superficie originaria, pari a 10.995 mq e non a 2.760 mq, che è invece l'estensione del primo ampliamento realizzato nel 1980 ai sensi dell'art. 7 NTA del PRG.
Si tratta, in ogni caso, di dati in sé erronei e frutto di un'erronea premessa in diritto, per le ragioni sopra meglio evidenziate.
Dalla relazione di verificazione, al contrario, emerge che, al momento della presentazione del progetto di ampliamento, l'impianto produttivo esistente constava di una superficie di mq. 27.683,01 (pp. 27-28 della relazione di verificazione) e di un volume di mc. 267.320,49 (pp. 29-30), mentre dall'ampliamento dell'opificio esistente è derivato, rispetto alle dimensioni rilevate alla data di presentazione del progetto, un incremento di superficie pari a mq. 4.474,21 (p. 31) ed un incremento di volume pari ad mc. 96.337,12 (p. 33).
Il verificatore ne ha concluso che “i rapporti tra superfici e volumi oggetto di ampliamento rispetto a quelli preesistenti al momento della presentazione del progetto, incluso l'impianto tecnologico di immagazzinamento automatico, sono il 16,16% in termini di superficie incrementale ed il 36,04% in termini di volume incrementale” (p. 34).
Sono, questi, valori inferiori anche alla soglia del 40% che il T.A.R., nel passaggio motivazionale, non del tutto perspicuo, sopra richiamato, sembrerebbe ritenere necessaria per autorizzare l'ampliamento.
In ogni caso il richiesto ampliamento appare perfettamente in linea con la previsione dell'art. 5 del d.P.R. 447/98, siccome è emerso all'esito della fase istruttoria espletata.
Si deve qui solo aggiungere, per un completo esame delle doglianze dedotte dai ricorrenti in prime cure con il primo motivo, che il manufatto oggetto di causa non ricade in zona “C”, essendo il suolo sul quale insiste l'intervento destinato ad attività produttiva, come emerge dalla documentazione in atti.
Appare del tutto immune da censura, infatti, il parere reso, in seno alla conferenza dei servizi, dal servizio urbanistico comunale, che ha fatto correttamente rilevare che “sotto il profilo urbanistico, trattandosi di un'area a vocazione produttiva (zona D industriale) e in considerazione che i manufatti esistenti sono regolarmente autorizzati, l'ampliamento non compromette eventuali future pianificazioni territoriali”.
L'amministrazione ha ben ponderato, dunque, tutte le esigenze coinvolte dal richiesto ampliamento dell'impianto produttivo, ritenendo, con valutazione che appare corretta, anche alla luce degli esiti della verificazione, che esso non alteri l'assetto urbanistico, né coinvolga pesantemente, come hanno prospettato i ricorrenti in prime cure, aree a vocazione residenziale o agricola.
2.9. Per quanto concerne il secondo motivo del ricorso originario, con il quale si lamenta il presunto difetto di motivazione, si deve qui rilevare che la delibera impugnata è adeguatamente motivata, per relationem, con riferimento ai verbali della conferenza dei servizi; e i vari pareri, in essa espressi, danno compiutamente conto dei necessari passaggi procedimentali e delle ragioni che hanno condotto all'emanazione del provvedimento. L'istruttoria del procedimento, da parte del Comune, non appare né carente, né incompleta; né manchevole o superficiale, ad un attento scandaglio procedimentale, appare l'attività espletata in seno alla conferenza dei servizi, sicché devono essere respinti il primo e il secondo motivo di censura proposti nell'originario ricorso e accolti, invece, dal giudice di primo grado.
2.10. La sentenza impugnata è poi affetta da vizio di ultrapetizione nella parte in cui ha ritenuto illegittimo il provvedimento finale per un vizio del procedimento mai dedotto in prime cure e, cioè, la mancata presentazione di idonea relazione acustica ai sensi della L.R. 3/2002.
I ricorrenti in prime cure, infatti, avevano lamentato la non conformità della relazione fonometrica del 24.7.2003, allegata dal Pastificio al progetto, al DPCM 14.11.1997, recante le norme per la “Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore”.
La relazione acustica del Pastificio, invece, fu redatta per dimostrare che i nuovi impianti previsti dal progetto di ampliamento, una volta completati, non avrebbero prodotto livelli di rumore superiori a quelli consentiti dall'art. 8, comma 1, del DPCM 14.11.1997.
Il T.A.R., incorrendo ancora una volta nel denunciato vizio di ultrapetizione, ha ritenuto viziate le risultanze istruttorie della conferenza dei servizi, recepite nella delibera, per la mancanza di una relazione acustica, afferente all'impianto acustico dei lavori di ristrutturazione dell'ambiente circostante.
Peraltro, diversamente da quanto assumevano i ricorrenti in prime cure, la relazione in questione rispettava pienamente i requisiti richiesti dal suddetto DPCM (doc. 21 fasc. Pastificio), sicché anche il vizio lamentato dai ricorrenti in prime cure, erroneamente interpretato e travisato dal T.A.R., non sussiste.
2.11. Da quanto sin qui esposto discende, conclusivamente, l'erroneità del giudizio espresso dal T.A.R., sicché la sentenza impugnata deve essere riformata, con conseguente reiezione del ricorso proposto in primo grado per la parte in cui era stato accolto.
3. Deve essere ora esaminato l'appello incidentale, con il quale i ricorrenti originari ripropongono i motivi di impugnazione dichiarati assorbiti in prime cure.
L'appello è infondato e va respinto.
3.1. Con il primo motivo di appello incidentale viene censurata l'illegittimità della variante urbanistica semplificata e, in via derivata, del permesso di costruire per difetto di istruttoria, in quanto la p.a. avrebbe ignorato l'esistenza di altri suoli reperibili in area industriale.
Assumono gli appellanti in via incidentale che tale circostanza, ignorata dal Comune, avrebbe dovuto rendere inammissibile la variante urbanistica concessa ai sensi dell'art. 5 del d.P.R. 447/98, essendo per quest'ultima dirimente la preventiva verifica in ordine all'assenza ovvero all'insufficienza, nell'ambito del territorio comunale, di aree di PRG aventi destinazione industriale.
Tale motivo è infondato, in quanto la delibera di G.R. n. 2226/2003 prevede espressamente, al § 3, che la verifica circa l'insufficienza delle aree non è necessaria nei casi di interventi consistenti nell'ampliamento dell'attività produttiva, come nel caso di specie.
La realizzazione di manufatti in ampliamento strettamente funzionali all'attività produttiva dello stabilimento esistente, infatti, non può prescindere dalla localizzazione nella stessa area, postulando, come ha anche sottolineato, seppur in altro passaggio motivazionale, il giudice di prime cure (p. 11 della sentenza impugnata), “un collegamento anche logistico rispetto all'esistente”.
3.2. Con il secondo motivo di appello incidentale viene denunciata la violazione dell'art. 55 della L.R. 56/1980 e dell'art. 20, commi 3 e 4, della L.R. 20/2001.
La censura è anzitutto destituita di fondamento, in punto di fatto, perché, con le delibere n. 24 del 26.10.1993 e n. 73 del 30.6.1994, il Comune di Corato ha dichiarato la sua strumentazione urbanistica conforme alla L.R. 56/80.
In ogni caso, come rileva correttamente la difesa del Pastificio appellante, l'art. 55 della L.R. 56/1980 non è in alcun modo ostativo all'intervento in esame.
L'art. 55, infatti, pur evocando la normativa vigente ratione temporis, richiama espressamente le varianti per gli insediamenti industriali.
Né può trascurarsi il rilievo che la L.R. 20/2001, ultimo alinea, prevede una norma di chiusura, che espressamente consente ai Comuni con strumenti urbanistici non adeguati alla L.R. 56/1980 anche “la realizzazione di opere e interventi previsti dalla vigente legislazione statale e/o regionale”, come quello in questione.
3.3. Con il terzo motivo gli appellanti in via incidentale hanno lamentato presunti vizi nella determinazione del Dirigente del Settore Ecologia della Regione Puglia n. 219 del 26.4.2006, che aveva ritenuto di non assoggettare l'intervento a VIA.
Si prescinde, per deliberare compiutamente, nel merito, la situazione sostanziale sottesa all'intera vicenda, dalla pur assorbente, e fondata, eccezione di tardività dell'impugnazione di tale atto che, essendo finalizzato alla tutela ambientale e, quindi, esterno e non interno al procedimento de quo, doveva essere impugnato tempestivamente dagli interessati nei 60 giorni dalla sua pubblicazione, avvenuta dal 27.4.2006 al 4.5.2006 (doc. 13 fasc. Pastificio).
Il motivo nel merito non merita accoglimento in quanto, ai sensi della L.R. 11/2011, l'attività produttiva della Granoro rientra tra le attività comprese nell'elenco B.2 di competenza della Provincia e, in particolare, trattandosi di attività esistente, si applica il punto B.2.az
Nell'elenco B.2 rientrano le industrie dei prodotti alimentari e, al punto B.2r, sono previsti gli impianti per il trattamento e la trasformazione di materie prime vegetali con una produzione di prodotti finiti di oltre 300 t/giorno su base trimestrale.
La produzione giornaliera di pasta si attesta su base trimestrale su un valore di 140/t giorno, atteso che la produzione annua dello stabilimento è di circa 50.000 t. (doc. 10 fasc. parte appellante).
In ogni caso, anche ammettendo, come sostengono gli appellanti, che l'intervento in questione debba essere assoggettato a VIA, le loro censure sono infondate anche in fatto.
3.4. Gli appellanti hanno dedotto, senza tuttavia darne adeguata e convincente prova, che la determinazione dirigenziale della Regione Puglia, la quale ha deciso di esonerare da assoggettamento a VIA il progetto di ampliamento del Pastificio Granoro, sarebbe stata fuorviata da una rappresentazione “infedele”, se non addirittura falso, contenuta nella relazione allegata all'istanza di verifica di assoggettabilità a VIA presentata dallo stesso Pastificio.
Si tratto di un assunto, come detto, infondato, perché non provato, ed anzi smentito per tabulas dalle produzioni documentali del Pastificio.
Nella relazione citata si dà ampio ragguaglio dell'esistenza di aree non agricole “rappresentate da alcune tipologie d'insediamento antropico”, caratterizzate principalmente, come vi si legge, dalla periferia nord-occidentale della città e dal territorio occupato alle più varie attività produttive e artigianali del posto, né si tace delle caratteristiche principali dell'area, attraversata, come ancora vi si può leggere, “da assi viari” e costituente un “particolare mix tra residenza, impianti produttivi e usi agricoli”.
Non si ravvisa, pertanto, nella decisione di non assoggettare l'area alcuna fattispecie patologica riconducibile alla figura dell'eccesso di potere per falsa rappresentazione dei presupposti di fatto e per difetto di attività istruttoria.
In ogni caso, come emerge dalla documentazione in atti, l'intervento assentito non comporta un aumento della produzione, ma ha ad oggetto la realizzazione di un pianale di carico e di un impianto tecnologico automatizzato per lo stoccaggio della merce.
In sede di verifica, puntualmente condotta anche solo per escludere la necessità della VIA, l'amministrazione non ha rilevato né aggravamenti di traffico, né maggiori effetti sonori, né coni d'ombra intollerabili.
Quanto al primo, infatti, il flusso di traffico veicolare, proprio per la tipologia di intervento in questione, limitato a realizzare volumi (tramite una struttura prefabbricata in metallo) per lo stoccaggio differenziato dei prodotti, non subisce alcuno spostamento degli originari percorsi.
In ordine al secondo, poi, gli effetti sonori sono ridotti al minimo per il fatto che la struttura è coibentata con pannelli fonoassorbenti (doc. 22 fasc. Pastificio), sicché deve escludersi che l'intervento dia luogo ad immissioni che superino la normale tollerabilità
Per quanto concerne il terzo, infine, il cono d'ombra, lamentato dagli appellanti, non sembra esistente e, comunque, non pare interessare le abitazioni di questi, situate in una strada parallela a quella dell'opificio Granoro e, comunque, ad una distanza tale da escludere ogni effetto anche solo pregiudizievole per questi, considerato anche che il nuovo volume tecnico rientra pur sempre nell'ambito dell'area recintata già attualmente destinata allo stabilimento suddetto.
È stato peraltro effettuato un accertamento tecnico in loco, come risulta dalla documentazione depositata dal Pastificio, dal quale è emerso che il cono d'ombra, in modo limitato, si forma soltanto in alcune parti dell'anno durante l'ultima ora pomeridiana, al tramonto e per porco tempo, e riguarda solo il fronte su Via Nazionale e limitatamente ad un tratto di 29 mt di larghezza, che lambisce il selciato frontale.
Non vi sono e, comunque, non sono stati allegati elementi che lascino ritenere l'abnormità e l'eccessiva gravosità dell'intervento autorizzato in danno dei cittadini residenti nelle immediate vicinanze.
La valutazione effettuata dall'amministrazione, nell'escludere l'assoggettamento a VIA, appare dunque completa ed esente da vizi logici e travisamenti dei fatti.
3.5. In conclusione, quindi, tutti i motivi riproposti nell'appello incidentale devono essere respinti.
4. Attesa la complessità della vicenda, che involge complessi profili di diritto e delicate questioni di fatto, ritiene il Collegio che sussistano ragioni gravi atte a giustificare la totale compensazione delle spese inerenti ai due gradi del giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa loro riunione, li accoglie e per l'effetto, in riforma dell'impugnata sentenza, rigetta il ricorso proposto in prime cure.
Rigetta l'appello incidentale.
Compensa interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Avv. Antonino Sugamele

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