Applicabilità dell'art. 73, comma 3°, c.p.a. in sede cautelare. Onere di specificità dei motivi di appello. Motivazione del provvedimento amministrativo.
Cons. St., Sez. V, 11 dicembre 2013, n. 5957
N. 05957/2013
N. 06846/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 6846 del 2013, proposto da:
Pari S.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Manrico Borzi, Nicole Vuistiner, con domicilio eletto presso Studio Legale Associato Abv & Partners in Roma, via E.Q.Visconti, n. 11;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore,rappresentato e difeso per legge dagli avvocati Rosalda Rocchi, Alessandro Rizzo, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21; Comune di Roma - Municipio Roma Centro Storico - U.O.A.-O.S.P. Permanenti;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II TER, n. 5604/2013, resa tra le parti, concernente diniego concessione di occupazione suolo pubblico.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2013 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Manrico Borsi e Antonio Graziosi, in dichiarata sostituzione dell'avvocato Rosalda Rocchi;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Lazio l'odierno appellante agiva per l'annullamento del provvedimento di Roma Capitale, Municipio Roma Centro Storico del 23 novembre 2012 recante disdetta della concessione demaniale permanente rilasciata per il locale sito in via del Corallo n.10-11.
2. La suddetta iniziativa giurisdizionale veniva disattesa dal primo Giudice con le seguenti motivazioni: a) L'atto impugnato è stato adottato ai sensi e per gli effetti dell'art. 10 del regolamento in materia di occupazione suolo pubblico (OSP) e del canone (COSAP) e non dell'art. 9 dello stesso regolamento. Il sistema disegnato dal citato art. 10, prevede il rinnovo automatico delle concessioni permanenti a seguito del pagamento del canone, ma attribuisce all'amministrazione il potere di procedere alla disdetta con un preavviso di almeno trenta giorni rispetto alla scadenza. La disdetta, pertanto, postula che il provvedimento concessorio spieghi i suoi effetti sino alla scadenza e produce, alla scadenza, il mancato rinnovo della concessione, mentre la revoca determina che il provvedimento concessorio termini i propri effetti prima della sua scadenza. Il provvedimento impugnato è da qualificare, quindi, come disdetta in quanto determina il mancato rinnovo della concessione alla sua scadenza, vale a dire a decorrere dal 1° gennaio 2013, primo giorno successivo al dies ad quem della concessione (31 dicembre 2012). L'atto in questione, inoltre, ha natura provvedimentale e non privatistica, in quanto adottato dall'amministrazione comunale nell'esercizio autoritativo del potere pubblico. Esso, infatti, incide su un rapporto pubblicistico, che ha la sua fonte nel provvedimento di concessione di OSP, per cui deve ritenersi ontologicamente connotato dalla stessa natura provvedimentale dell'atto da cui scaturisce il rapporto. Nondimeno, trattandosi di atto vincolato in quanto adottato in mera esecuzione delle delibere di Consiglio Municipale n. 6 del 25 febbraio 2010, n. 1 del 20 gennaio 2012 e n. 21 del 26 ottobre 2012, l'omessa comunicazione di avvio del procedimento, altrimenti necessaria, non è idonea a tradursi in un vizio di legittimità del provvedimento in quanto, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241 del 1990, non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. b) Non colgono nel segno le doglianze di carenza di motivazione e di difetto di istruttoria dell'atto impugnato, atteso che appare sufficiente sotto il profilo motivazionale il richiamo alle delibere di C.M. n. 6 del 2010, n. 1 del 2012 e n. 21 del 2012. Quest'ultima, in particolare, è stata adottata sulla scorta dei verbali delle sedute della Commissione consiliare Commercio del 20 marzo, 21 marzo e 7 giugno 2012 e della Commissione consiliare Urbanistica del 28 febbraio 2012, con cui sono state approvate le schede di dettaglio del PMO, tra cui quella relativa a via del Corallo, predisposte e approvate dalla Commissione tecnica e ritenuto che gli elaborati grafici della Commissione tecnica risultano adottati in conformità e in ossequio alla normativa vigente nonché ai criteri riferiti con deliberazione CM n. 2/2011. Mentre l'attività istruttoria è stata evidentemente posta alla base degli atti generali presupposti, di cui il provvedimento individuale costituisce applicazione. c) Con riferimento alla censura secondo cui il PMO costituirebbe un unico strumento di assetto del territorio comunale, composto da tante schede quante sono le strade ivi comprese, per cui, ad oggi, il suo processo di perfezionamento non sarebbe ancora giunto a compimento, infine, è sufficiente evidenziare che, a prescindere dall'intervenuta approvazione di tutte le schede di dettaglio, l'approvazione della scheda relativa a via del Corallo determina la conclusione dei relativi sub procedimenti.
3. L'odierno appellante insorgeva avverso la sentenza del primo Giudice, strutturando un gravame nel quale, da un lato, veniva specificamente censurata la pronuncia del TAR per il Lazio nella parte in cui riteneva non sussistente il difetto di motivazione. Dall'altro, si limitava a ricopiare le censure di primo grado, senza portare puntuali censure alle motivazioni utilizzate dal Tribunale.
4. Si costituiva in giudizio Roma Capitale per contrastare le deduzioni dell'appellante sostenendo che: a) l'atto utilizzato dal Comune avrebbe natura giuridica di disdetta ai sensi dell'art. 1 della D.C.C. 75/2010 espressione di un potere privatistico del concedente e non di revoca; b) non vi sarebbe violazione delle disposizioni regionali in materia di salvaguardia delle imprese atteso che i piani di massima occupabilità tutelerebbero interessi collettivi prevalenti; c) non vi sarebbe difetto di istruttoria, né di motivazione, atteso il riferimento operato dal Consiglio comunale all'elaborazione da parte della Commissione tecnica di criteri specifici derivanti dalle disposizioni del regolamento vigente in materia di osp e Piano Generale del Traffico urbano, delle disposizioni del codice della strada, dei pareri resi dal Comando dei vigili del Fuoco e dalla Prefettura in materia di sicurezza. Comunque trattandosi di atto vincolato la disdetta non sarebbe annullabile ex art. 21-octies, L. 241/90. Inoltre nel tratto interessato la strada in questione avrebbe una sezione carrabile di mt. 4,90 e sarebbe priva di marciapiede rialzato. Pertanto, alla luce del Codice della Strada e delle istruzioni fornite dai VV.FF. sulla carrabilità dei mezzi di soccorso non sussisterebbero le misure minime per l'individuazione di un'area concedibile ad osp (mt. 3.50 più 1).
5. All'udienza del 12 novembre 2013, il Collegio sottoponeva alle parti la questione ex art. 73 comma 3, c.p.a., in ordine alla possibile violazione da parte dell'appellante del principio di specificità dei motivi, riservandosi ex art. 60 c.p.a. di risolvere il giudizio con sentenza in forma semplificata. Alla stessa udienza su richiesta del difensore dell'appellante differiva la trattazione del giudizio, per consentire allo stesso di interloquire con memoria sulla questione rilevata dal Collegio.
6. Con memoria del 20 novembre 2013, l'appellante sosteneva che: a) il punto 4 dell'atto d'appello contiene l'elencazione delle censure alla sentenza di primo grado, per cui non vi sarebbe violazione del principio di specificità dei motivi; b) il principio di specificità sarebbe a tutela del diritto di difesa dell'appellato, che non risulta leso considerato che quest'ultimo si sarebbe difeso avverso tutte le doglianze; c) l'art. 73 comma 3 varrebbe solo per l'udienza di merito e non sarebbe utilizzabile in sede cautelare.
DIRITTO
1. Occorre rilevare come sia possibile esaminare nel merito soltanto la censura relativa al difetto di motivazione, che appare correttamente proposta avverso la sentenza gravata in quanto tutte le altre violano il principio di necessaria specificità dei motivi d'appello.
2. Preliminarmente, deve rilevarsi come sia del tutto destituita di fondamento l'interpretazione offerta dall'appellante dell'art. 73, comma 3, c.p.a. quale disposizione che non sarebbe applicabile in sede cautelare. Un simile assunto è smentito da numerose e piane considerazioni: a) la previsione di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a. posta a tutela del diritto di difesa e del contraddittorio tra le parti, ogni qual volta il Giudice debba adottare una decisione ed è manifestazione del principio del giusto processo; b) lo stesso art. 60 comma 3 c.p.a. prevede alcune ipotesi nelle quali il legislatore ha rimarcato l'importanza di sottoporre determinate questioni all'attenzione delle parti ex art. 73, comma 3, c.p.a., così chiarendo il suo rilievo anche in sede di appello cautelare su ordinanza; c) l'art. 98 c.p.a. richiama espressamente in quanto applicabili tutte le norme dettate nel Libro II, Titolo II e tra queste evidentemente quella contenuta nell'art. 60 c.p.a., che prevede la possibilità di definire il giudizio con sentenza breve all'esito dell'udienza cautelare, assicurando tra l'altro, come avviene grazie anche all'applicazione dell'art. 73, comma 3, c.p.a., il pieno rispetto del contraddittorio.
3. Il Collegio rileva, inoltre, come l'appello possa essere valutato solo in relazione alla doglianza inerente il mancato apprezzamento da parte del primo Giudice del vizio del difetto di motivazione, che inficerebbe il provvedimento gravato. Non possono, infatti, essere esaminati motivi di primo grado che sono stati oggetto di espressa valutazione nella pronuncia gravata, atteso che ai sensi dell'art. 101 c.p.a. l'appello deve contenere le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata. Mentre possono essere meramente riproposti i soli motivi non esaminati o dichiarati assorbiti in primo grado. adoperato quindi violazione dell'obbligo di specificità dei motivi d'appello (art. 101 c.p.a.). Del resto come chiarito dalla giurisprudenza di questo Consiglio anche nella sua massima espressione (Cons. St., Ad. Plen., 3 giugno 2011, n. 10), la mera riproposizione dei motivi di primo grado può essere giustificata solo quando manchi un'espressa ponderazione degli stessi da parte del Giudice di primo grado, non quando una valutazione vi sia stata. In questo caso, infatti, la critica al ragionamento giuridico esposto nella pronuncia gravata deve essere portato con censure specifiche, altrimenti il ricorso al Giudice di primo grado verrebbe svuotato di contenuto sostanziale, apparendo quale mera condizione per poter ottenere una seconda valutazione dei vizi oggetto del ricorso introduttivo. Pertanto, la valutazione del Collegio non può che avere ad oggetto l'unica doglianza specifica contenuta nell'atto di gravame in ordine all'erroneo apprezzamento della censura inerente il difetto di motivazione.
4. A giudizio dell'appellante la sentenza non avrebbe fornito una risposta corretta al rilievo inerente la mancanza di motivazione dell'atto impugnato, che a dire di quest'ultimo non potrebbe ritenersi soddisfatta grazie al rinvio per relationem, ritenuto, invece, sufficiente dalla sentenza di primo grado. A riprova di ciò l'appellante pone in luce come nella delibera di C.M. 21/2012, non vi sarebbe alcun riferimento all'oggetto della concessione OSP o ad un'esigenza specifica. Né sarebbe possibile invocare un'inversione dell'onere della prova a carico dell'appellante.
4.1. La prospettazione dell'appellante non merita di essere accolta in ragione della funzione che il nostro ordinamento assegna alla motivazione del provvedimento amministrativo secondo quanto disposto dall'art. 3, della legge n. 241/90. La norma in questione, infatti, impone che il provvedimento estrinsechi le ragioni di fatto e di diritto sulle quali poggia la determinazione amministrativa. Ebbene dall'esame dell'atto di disdetta impugnato appare evidente che l'impossibilità di reiterare la concessione già disposta in passato, discende dall'esercizio del potere amministrativo articolatosi nelle delibere C.M. n. 6 del 25 febbraio 2010 e n. 21 del 26 ottobre 2012, che hanno rispettivamente disposto di istituire il Piano di massima occupabilità ed approvato la scheda di dettaglio del Piano di massima occupabilità relativo a via del Corallo. In questo modo l'amministrazione ha posto un auto vincolo al successivo dispiegarsi dell'azione amministrativa, tale che appare sufficiente il richiamo contenuto nell'atto impugnato ai citati provvedimenti per rendere edotto il destinatario dello stesso delle motivazioni che sostengono l'atto di disdetta. In un settore, peraltro, nel quale l'amministrazione fa uso di un ampio potere discrezionale, che sulla scorta dei criteri generali fissati ben può estrinsecarsi in determinazioni che determinano la non reiterabilità della concessione nei termini prima fissati per l'occupazione di suolo pubblico per via del Corallo. Secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio, infatti, “posto che la motivazione dell'atto amministrativo assolve la funzione di rendere palesi le ragioni che hanno indotto l'Amministrazione ad adottare il provvedimento al fine di consentire il successivo ed eventuale sindacato di legittimità, quando l'attività amministrativa è vincolata tale funzione deve considerarsi assolta se il provvedimento indichi con precisione i presupposti di fatto e di diritto la cui presenza o la cui mancanza ne hanno reso necessaria l'adozione, senza che occorrano ulteriori e più ampie garanzie rivolte a confutare analiticamente le deduzioni svolte dalle parti interessate” (Cons. St., Sez. IV, 1 ottobre 2004, n. 6361; Sez. VI, 9 settembre 2003, n. 5044). Pertanto, l'invocato difetto motivazionale non appare sussistente né in termini di sua assenza, né in termini di insufficienza della stessa, considerato che non determina un'inversione dell'onere della prova, ma al contrario un'espressione del principio più generale contenuto nell'art. 2697 c.c.. secondo il quale onus probandi incumbit ei qui dicit. Nella fattispecie, invece, l'appellante non ha fornito la prova della censura dedotta ed in questo corretta appare la ricostruzione del primo Giudice della presenza di un deficit motivazionale, capace di inficiare il provvedimento impugnato.
5. L'appello, pertanto, deve essere in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto ed il regime delle spese deve ispirarsi al principio della soccombenza secondo la specifica liquidazione indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile ed in parte lo respinge nei sensi di cui in motivazione.
Condanna Pari S.r.l. al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge a favore di Roma Capitale.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/12/2013
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
13-12-2013 22:08
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