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Sentenza

Allevatore di bufali abbatte 200 capi per eradicare la brucellosi e chiede l'ind...
Allevatore di bufali abbatte 200 capi per eradicare la brucellosi e chiede l'indennizzo di legge. Sulla base della normativa antimafia in autotutela viene revocato detto indennizzo. In una informativa del Carabinieri del 1993 l'allevatore risulta fiancheggiatore del Clan dei Casalesi.
Consiglio di Stato  sez. III   
Data:
    03/09/2013 ( ud. 01/03/2013 , dep.03/09/2013 ) 
Numero:
    4402

 

    Intestazione

                             REPUBBLICA ITALIANA                         
                         IN NOME DEL POPOLO ITALIANO                     
                            Il Consiglio di Stato                        
    in sede giurisdizionale (Sezione Terza)                              
    ha pronunciato la presente                                           
                                   SENTENZA                              
    sul ricorso n. 9283/2012 RG, proposto dal sig. Lu. Sc., rappresentato
    e  difeso  dagli  avvocati  Francesco  Senese  ed Andrea Orefice, con
    domicilio  eletto  in Roma, via Alessandro III n. 6, presso lo Studio
    legale Mangazzo,                                                     
                                    contro                               
    il   Commissario   di   Governo   per   l'emergenza  brucellosi negli
    allevamenti  bufalini in Provincia di Caserta e zone limitrofe, l'UTG
    -  Prefettura  di  Caserta (in persona del Prefetto pro tempore) ed il
    Ministero   dell'interno  (in  persona  del  Ministro  pro  tempore),
    rappresentati  e  difesi  per  legge  dall'Avvocatura  generale dello
    Stato, presso i cui uffici si domiciliano in Roma, via dei Portoghesi
    n. 12,                                                               
    per la riforma                                                       
    della  sentenza  del TAR Lazio - Roma, sez. I, n. 7566/2012, resa tra
    le  parti e concernente la revoca, a seguito d'informativa antimafia,
    del  decreto  commissariale  per  la  liquidazione  di  somme a titolo
    d'indennizzo  per  l'abbattimento  di 200 capi di bestiame affetti da
    brucellosi;                                                          
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;                   
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in giudizio delle Amministrazioni
    intimate;                                                            
    Visti tutti gli atti della causa;                                    
    Relatore  all'udienza  pubblica  del 1° marzo 2013 il Cons. Silvestro
    Maria   Russo  e  uditi  altresì,  per  le  parti,  l'avv.  Orefice e
    l'Avvocato dello Stato Ventrella;                                    
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:             


    Fatto
    FATTO e DIRITTO

    1. - Il sig. Lu. Sc., nato a Casal di Principe (CE) il 20 luglio 1950, assume d'esser titolare dell'omonima impresa agricola, che gestisce un allevamento bufalino ubicato in Castel Volturno (CE).

    Il sig. Sc. dichiara altresì d'aver proceduto all'abbattimento di circa duecento capi bufalini del suo allevamento, nel quadro delle misure di lotta ed eradicazione della brucellosi, in quella zona tuttora endemica. In relazione a ciò, il sig. Sc. ha proposto istanza, in data 24 settembre 2008, al Commissario di Governo per l'emergenza brucellosi negli allevamenti bufalini in Provincia di Caserta e zone limitrofe al fine d'ottenere l'indennizzo per l'abbattimento in parola. Con decreto n. 118 del 6 marzo 2009, il Commissario di Governo ha concesso al sig. Sc. l'invocato indennizzo per un importo pari a Euro 153.719,06.

    2. - Sennonché il Commissario di Governo, avuto riguardo all'erogazione de qua, ha chiesto all'UTG - Prefettura di Caserta il rilascio dell'informativa antimafia ex art. 4, c. 1 del Dlg 8 agosto 1994 n. 490.

    In base al contenuto dell'informativa rilasciata dalla competente Prefettura ai sensi del citato art. 4, c. 4, anche in assenza delle cause ex art. 10 della l. 31 maggio 1965 n. 575, il Commissario di Governo, con decreto n. 87 del 15 marzo 2010, ha annullato in autotutela il decreto n. 118/2009. Il sig. Sc. ha allora impugnato il TAR Lazio il decreto commissariale n. 87/2010, ma il suo ricorso è stato respinto con sentenza n. 7566 del 5 settembre 2012. Tanto anche in relazione al principio di diritto enunciato dall'Adunanza plenaria di questo Consiglio (cfr. Cons. St., ad. plen., 5 giugno 2012 n. 19), in virtù del quale l'erogazione per l'abbattimento di capi bufalini, prevista dalla l. 9 giugno 1964 n. 615, ha natura indennitaria e non risarcitoria, al fine d'indennizzare, nei limiti delle somme stanziate in bilancio, gli allevatori dal pregiudizio subito a cagione dell'insorgenza di tubercolosi e brucellosi bovina, patologia endemica per tali allevamenti.

    3. - Appella il sig. Sc., deducendo in punto di diritto: A) - l'omessa pronuncia di primo grado sul difetto d'istruttoria e di motivazione dell'atto colà impugnato in ordine al lungo tempo trascorso dalle condanne subite; B) - l'erroneità della sentenza impugnata, sia perché egli non ha più subito condanne dal 1993, sia perché la definizione di fiancheggiatore del c.d. "Clan dei Casalesi", oggetto d'un'informativa dei Carabinieri del 1993, non è stata più rinnovata nel 2008, vicende, tutte queste, su cui il Prefetto di Caserta avrebbe dovuto effettuare l'aggiornamento ex art. 10 del DPR 3 giugno 1998 n. 252 e della cui incidenza attuale egli avrebbe dovuto fornire idonea e seria contezza; C) - l'erroneità della sentenza anche sotto il profilo della non coerenza tra i principi di giurisprudenza sui tentativi d'infiltrazione mafiosa e i dati tenuti presenti dal Prefetto di Caserta nell'informativa negativa, in sé non significativi, se non sbagliati e certo non plausibili, ferma in ogni caso l'assenza d'ogni segnalazione attuale o recente nei confronti dell'appellante; D) - l'erroneità della sentenza stessa pure sulla non pertinenza del richiamo alle pene accessorie, in quanto è l'esercizio sviato della potestà d'informazione ex art. 10 del DPR 252/1998 a mutare l'informativa in una sorta di pena accessoria ad efficacia perenne, specie a fronte d'un giudizio dell'AGO che escluse la commissione del reato ex art. 416 c.p. da parte dell'appellante e in assenza della continuità degli aggiornamenti della sua posizione. Resistono in giudizio le Amministrazioni intimate, che concludono per l'infondatezza dell'appello.

    Alla pubblica udienza del 1° marzo 2013, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione del Collegio.

    4. - L'appello non può esser condiviso, per le ragioni qui di seguito indicate.

    La Sezione ha avuto modo di chiarire che le informative del Prefetto, rese ai sensi dell'art. 4 del Dlg 490/1994 e dell'art. 10 del DPR 252/1998 in merito al rischio d'infiltrazione mafiosa in un'impresa, di per sé non suppongono alcuna prova inconfutabile circa l'intervenuta infiltrazione, ma devono sufficientemente dimostrare gli elementi dai quali è possibile e logico dedurrne il tentativo (cfr. Cons. St., III, 5 gennaio 2012 n. 12). L'informativa prescinde dunque dall'accertamento della rilevanza penale dei fatti, in quanto si concretizza come la forma di massima anticipazione dell'azione di prevenzione, inerente alla funzione di polizia e di sicurezza, rispetto alla quale assumono rilievo fatti e vicende solo sintomatici ed indiziari. Sicché gli atti emanati o emanandi in sede penale e quello amministrativo si collocano su differenti ed autonomi piani, nel senso che l'informativa può pure prescinde del tutto da ogni provvedimento penale a carico dell'imprenditore e si giustifica considerando il pericolo dell'infiltrazione mafiosa (cfr. Cons. St., III, 27 settembre 2012 n. 5117). È ovvio che, a tal fine, non è sufficiente il mero sospetto, ma sono necessari accertamenti fondati su oggettivi elementi, atti a far denotare il rischio concreto di condizionamenti mafiosi nella conduzione dell'impresa, a fronte dell'ampio potere discrezionale della Prefettura nella stesura di dette informative.

    Ha ritenuto opportuno il Collegio richiamare i capisaldi essenziali dello stato dell'arte sulle predette informative, non solo o non tanto perché la Prefettura, ciò è ben noto, eserciti tal potestà sulla scorta d'una valutazione di interessi complessi e che, nella realtà delle cose, s'intrecciano. Si tratta, per vero, dell'esercizio d'un potere, al contempo d'accertamento, di valutazione e di scelta di misure, che va svolto con consumata perizia ed intelligente prudenza. Essa coinvolge i bisogni sottesi alla libertà d'impresa (che non deve pregiudicare la libertà e la dignità umane), all'uso efficace e legittimo delle risorse pubbliche (che deve produrre effetti benefici per un'impresa virtuosa e non per le organizzazioni criminali) ed alla messa in opera di strumenti di tutela quanto più possibile anticipata ed intransigente (cfr. Cons. St., VI, 17 luglio 2006 n. 4574) contro i rischi di infiltrazioni di queste ultime.

    Ciò che qui più al Collegio preme di sottolineare è che tali criteri ermeneutici servono proprio a confutare gli argomenti addotti dall'appellante.

    In particolare e diversamente da quanto egli afferma nel primo mezzo di ricorso, il TAR muove proprio dalle considerazione che, indubbie essendo tra le parti la condanna del sig. Sc. nel 1993 per detenzione di armi e materiali esplodenti ed il grado prossimo di parentela e di affinità con esponenti di spicco di clan camorristici operanti nel territorio, tali dati sono indizi plausibili, seri e non illogici o travisati, oltre che da leggere congiuntamente.

    Ma essi permangono in sé ancora attuali e ciò per un duplice ordine di considerazioni. Per un verso, infatti, l'attuale pericolosità dei dati stessi si configura concreta perché non fornisce l'appellante neppure un argomento in base al quale evincere la sua reale, completa e sicura dissociazione, in un contesto territoriale che soffre in ogni momento la pressione dei predetti clan, dalle vicende sì risalenti, ma non irrilevanti. Per altro e conseguente verso, non nega il Collegio il mero fatto del mancato aggiornamento, ma anche il difetto di vicende tanto degne di menzione da giustificare l'aggiornamento stesso, nel senso, cioè e al di là d'ogni petizione di principio, che la realtà del 2010 non presenta novità rispetto a quelle degli anni 1993 e seguenti.

    Non giova quindi all'appellante invocare l'inapplicabilità dell'art. 21octies della l. 7 agosto 1990 n. 241 alla valutazione discrezionale resa dal Prefetto nella specie, in quanto il principio de quo avrebbe senso se il sig. Sc., oltre il mero decorso del tempo, avesse fornito al TAR almeno un principio di prova di evidenze fattuali e/o giuridiche a confutazione dei dati presi in esame dall'informativa negativa. S'avrà allora che non il Prefetto, né il TAR hanno omesso un giudizio d'attualità sui dati medesimi, ma che non vi sono serie evidenze che rebus sic stantibus smentiscano questi ultimi, di talché scolorano tutte le considerazioni sulla necessità del predetto aggiornamento, o sull'assenza di attuale attività di fiancheggiamento, mancando il materiale da aggiornare.

    Poiché il pregiudizio, il cui rischio l'informativa antimafia vuol escludere, non dev'essere immaginario, ma neppure provato, purché sia fondato su elementi presuntivi e indiziari, non si può nella specie legittimamente predicare l'illogicità, l'incoerenza o l'inattendibilità della valutazione discrezionale prefettizia, se appunto non vi sono indizi che modificano quella negativa situazione di contesto in cui l'appellante ha voluto operare.

    Del pari, l'informativa antimafia si può fondare su un quadro fattuale di elementi che, pur non dovendo assurgere necessariamente, a livello di prova (anche indiretta), siano comunque tali da far ritenere ragionevolmente, secondo l'id quod plerumque accidit, l'esistenza di elementi che sconsigliano l'instaurazione di un rapporto con la P.A. Pertanto, è ragionevole che il Prefetto, tranne che ciò non si riveli manifestamente infondato, per la finalità preventiva del provvedimento, possa ravvisare elementi di controindicazione anche in presenza di stretti rapporti di parentela con uno o più esponenti della criminalità organizzata (cfr. Cons. St., VI, 8 aprile 2011 n. 2205). A fronte d'una parentela ampia o ramificata e quando, come nella specie, il destinatario dell'informativa sia un imprenditore individuale operante nel luogo in cui il clan mafioso opera, è legittimo il richiamo del Prefetto anche (e non solo, come vorrebbe l'appellante) ai rapporti di parentela o di affinità con l'imprenditore, perché ciò plausibilmente può rendere più facili il condizionamento o la compiacenza di questi con esponenti della famiglia malavitosa locale (arg. ex Cons. St., VI, 18 agosto 2010 n. 5879). Nella specie, il riferimento al parente ed all'affine dell'appellante, che va letto nei termini indicati a pag. 29 della sentenza appellata, è assunto non già come esclusivo elemento di giudizio, bensì a guisa di dato rafforzativo, da leggere perciò in una con le complessive vicende personali del medesimo sig. Sc..

    Quanto alla doglianza dell'appellante, secondo la quale l'uso illegittimo dell'informativa tende a risolversi in una perenne pena accessoria, basti ricordare che gli effetti dell'informativa (nella specie, il diniego di un certo beneficio) non hanno natura sanzionatoria, ma sono misure di prevenzione. La funzione preventiva dell'informativa antimafia non discrimina alcuno o alcunché, ma serve ad evitare che l'Erario finanzi le organizzazioni criminali attraverso un'impresa infiltrata o collusa.

    5. - Giusti motivi suggeriscono l'integrale compensazione, tra le parti, delle spese del presente grado di giudizio.
    PQM
    P.Q.M.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso n. 9283/2012 RG in epigrafe), lo respinge.

    Spese compensate.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 1° marzo 2013, con l'intervento dei sigg. Magistrati:

    Pier Giorgio Lignani, Presidente

    Bruno Rosario Polito, Consigliere

    Angelica Dell'Utri, Consigliere

    Hadrian Simonetti, Consigliere

    Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore

    DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 03 SET. 2013
Avv. Antonino Sugamele

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