Allevamento di maiali: il Sindaco ha il potere di emanare ordinanze che tendono ad eliminare esalazioni insalubri di tipo olfattivo.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 3 maggio - 24 settembre 2013, n. 4687
Presidente Cirillo – Estensore Ungari
Fatto e diritto
1. Nei confronti dell'azienda suinicola condotta dall'odierno appellante, il Sindaco di Montegiorgio, dopo una prima ordinanza contingibile ed urgente, n. 64/2002, adottata ex artt. 50 e 54 del d.lgs. 267/2000, e l'annullamento di tale provvedimento (con sentenza del TAR Marche, n. 26/2003), ha adottato, ex artt. 216 e 217 del T.U.LL.SS. di cui al r.d. 1265/1934:
- l'ordinanza n. 15 in data 17 marzo 2003, prot. 3527, che individua (sulla base degli accertamenti della ASL) gli accorgimenti tecnici da introdurre, entro il 30 giugno 2003, per eliminare le esalazioni nocive dell'allevamento suinicolo;
- riscontrato l'inadempimento della precedente, l'ordinanza n. 89 in data 21 agosto 2003 – prot. 11297, di chiusura dell'allevamento (entro il 20 ottobre 2003, con immediato divieto di rinstallo).
2. Il TAR Marche, con la sentenza appellata (n. 104/2004), ha respinto il ricorso avverso dette ordinanze.
3. Nell'appello vengono sostanzialmente riproposte le censure disattese in primo grado, integrate da critiche alle argomentazioni contenute nella sentenza, secondo quanto appresso precisato.
4. Il Comune di Montegiorgio si è costituito in giudizio e controdeduce sinteticamente, anche eccependo l'inammissibilità dell'appello per omessa notifica alla ASL n. 11.
Si è altresì costituita in giudizio, ad opponendum, la signora S., residente nelle vicinanze dell'allevamento; anch'essa controdeduce, in particolare fornendo indicazioni sulla situazione dei luoghi.
5. Sembra anzitutto evidente al Collegio che l'eventuale omessa o irrituale notifica alla ASL non incide sull'ammissibilità dell'appello, posto che gli atti della ASL, compresi nell'impugnazione, hanno pur sempre carattere istruttorio e consultivo, e non assumono natura codecisoria.
6. Nel merito, le conclusioni del TAR devono essere condivise.
L'appellante lamenta che i provvedimenti impugnati siano stati adottati sulla base di accertamenti tecnici effettuati (dalla ASL n. 11 di Fermo – cfr. nota prot. 3932 in data 14 agosto 2002, e dall'ARPAM – cfr. nota in data 23 ottobre 2002) ai fini dell'adozione della precedente ordinanza, poi annullata dal TAR.
In sostanza, l'annullamento avrebbe travolto anche gli atti istruttori.
Ad avviso del Collegio, la sorte del precedente provvedimento, in quanto annullato dal TAR per mancanza del presupposto costituito dall'esistenza di una situazione di necessità ed urgenza, vale a dire in ragione della errata qualificazione giuridica della situazione oggettivamente riscontrata, non inficia il valore degli accertamenti tecnici in sé considerati, che ben potevano essere utilizzati – com'è avvenuto, previa comunicazione di avvio del nuovo procedimento mediante nota del 21 febbraio 2003 - ai fini dell'adozione di altro e diverso (quanto ai presupposti giuridici) provvedimento.
Un aggiornamento degli accertamenti non era poi necessario, posto che erano trascorsi pochi mesi, e che alla base dei provvedimenti vi era proprio la permanenza delle criticità a suo tempo riscontrate e la mancata adeguata attivazione del ricorrente al fine di porvi rimedio.
L'appellante sottolinea l'ubicazione in zona agricola dell'azienda, come idonea ad evitare problemi di coesistenza con altri insediamenti.
Ma la originaria localizzazione dell'allevamento (va ricordato, industria insalubre di prima classe, in base, da ultimo, all'elenco allegato al d.m. 5 settembre 1994, attuativo dell'art. 216 del T.U.LL.SS.) in zona agricola non esentava il ricorrente, ai sensi dell'art. 216, cit., dal tenere l'azienda “isolata nella campagna” e comunque “lontana dalle abitazioni”; tanto più che l'area dell'allevamento era stata riclassificata, dalla Variante generale del PRG in fase di adozione, quale zona D1 a destinazione agricola-artigianale, proprio in accoglimento di un'osservazione del ricorrente, il quale si era impegnato a riconvertire in edifici artigianali le costruzioni esistenti, dacché nell'area insistevano ormai altri insediamenti produttivi (oltre che case sparse).
L'appellante contesta, sulla base di valutazioni peritali di parte, la congruità e l'idoneità degli interventi tecnici indicati nell'ordinanza, a far fronte agli inconvenienti ambientali rilevati.
Il Collegio osserva che alle valutazioni tecnico-discrezionali espresse dagli organi pubblici preposti alla tutela igienico-sanitaria ed ambientale non possono essere sovrapposte le valutazioni peritali di parte di segno contrario, a meno che, a carico delle prime, non vengano evidenziati vizi di logicità, contraddittorietà o incompletezza, per quanto concerne l'individuazione degli elementi di fatto rilevanti, la scelta della regola tecnica di riferimento o la sua applicazione; tanto più in un settore, quello delle emissioni olfattive, connotato da un'estesa discrezionalità tecnica, che il giudice amministrativo può sindacare solo in caso di manifesta irragionevolezza od incoerenza sotto il profilo scientifico.
Vizi la cui esistenza non emerge dall'appello in esame.
Con riferimento alle previsioni dell'art. 216, cit., l'obiettivo degli interventi indicati nell'ordinanza è indubbiamente l'abbattimento delle “esalazioni insalubri” (di tipo olfattivo) dell'allevamento, affinché esse non risultino “di pericolo o di danno per la salute pubblica”; detti interventi hanno concretizzato “le norme da applicare per prevenire o impedire il danno e il pericolo”; mentre la sanzione comminata in forza della mancata realizzazione corrisponde al potere di assicurare “la loro esecuzione ed efficienza”.
Non risultano specificamente normati (dal d.lgs. 372/1999, vigente all'epoca; ma neanche dagli artt. 269-271, del d.lgs. 152/2006) parametri e limiti di accettabilità di tale tipo di effetti “odoriferi” delle emissioni; tuttavia è pacifico, almeno a partire dal r.d. 1265/1934, che anch'esse debbano essere contenute entro limiti di tollerabilità e pertanto sottoposte al potere limitativo dell'Amministrazione locale.
E' stato infatti affermato che, in base agli artt. 216 e 217 del T.U.LL.SS. (non modificati, ma ribaditi dall'art. 32 del d.P.R. 616/1977 e dall'art. 32, comma 3, della legge 833/1978), spetta al sindaco, all'uopo ausiliato dall'unità sanitaria locale, la valutazione della tollerabilità o meno delle lavorazioni provenienti dalle industrie classificate “insalubri”, e l'esercizio di tale potestà può avvenire in qualsiasi tempo e, quindi, anche in epoca successiva all'attivazione dell'impianto industriale e può estrinsecarsi con l'adozione in via cautelare di interventi finalizzati ad impedire la continuazione o l'evolversi di attività che presentano i caratteri di possibile pericolosità, per effetto di esalazioni, scoli e rifiuti, specialmente riguardanti gli allevamenti, e ciò per contemperare le esigenze di pubblico interesse con quelle dell'attività produttiva. L'autorizzazione per l'esercizio di un'industria classificata insalubre è concessa e può essere mantenuta a condizione che l'esercizio non superi i limiti della più stretta tollerabilità e che siano adottate tutte le misure, secondo la specificità delle lavorazioni, per evitare esalazioni “moleste”: pertanto a seguito dell'avvenuta constatazione dell'assenza di interventi per prevenire ed impedire il danno da esalazioni, il sindaco può disporre la revoca del nulla osta e, pertanto, la cessazione dell'attività (cfr. Cons. Stato, V, 15 febbraio 2001, n. 766); inoltre, è stato ritenuto legittimo il provvedimento sindacale volto a sollecitare (sulla base del parametro della “normale tollerabilità” delle emissioni, ex art. 844 c.c., e con riferimento alle funzioni attribuite dall'art. 13 del d.lgs. 267/2000) l'elaborazione di misure tecniche idonee a far cessare le esalazioni maleodoranti provenienti da attività produttiva (cfr. Cons. Stato, V, 14 settembre 2010, n. 6693); ciò, anche prescindendo da situazioni di emergenza e dall'autorizzazione a suo tempo rilasciata, a condizione però che siano dimostrati, da congrua e seria istruttoria, gli inconvenienti igienici e che si sia vanamente tentato di eliminarli (cfr. Cons. Stato, V, 19 aprile 2005, n. 1794).
Ne discende, come esposto, che la discrezionalità che si esercita in questa materia è inevitabilmente ampia, anche considerato che l'art. 216, cit., riferisce la valutazione ad un concetto, quello di “lontananza”, spiccatamente duttile avuto riguardo, in particolare, alla tipologia di industria di cui concretamente si tratta (cfr. Cons. Stato, V, 24 marzo 2006, n. 1533).
Ora, non può ritenersi che le misure indicate (stabulazione dei suini a terra; stoccaggio del letame in platee coperte; stoccaggio dei liquami in vasche coperte, o in alternativa in vasche e stabilizzanti per via aerobica, modificando il sistema di stoccaggio; installazione di sistemi meccanici per il ricircolo dell'aria e l'abbattimento delle sostanze odorigene nella stalla, e di sistemi di lavaggio nei box esterni) non appaiano funzionali alla riduzione dell'intensità e della durata degli odori. Si tratta di interventi che non esulano dalla normale conduzione di un allevamento suinicolo. D'altra parte, nessuna convincente argomentazione è stata prospettata (nell'ambito del procedimento che si è concluso con l'ordinanza n. 89/2003, e nel giudizio di impugnazione susseguente) per dimostrare che avrebbero potuto essere indicate misure alternative di minor costo per l'impresa, aventi pari o maggiore efficacia.
Non può nemmeno sostenersi che vi sia stata indeterminatezza della sanzione, posto che la chiusura dell'attività è, come esposto, una misura consentita dal T.U.LL.SS., e del resto era stata espressamente comminata nell'ordinanza n. 15/2003, presupposta.
Con i motivi aggiunti (ed avverso l'ordinanza di chiusura), l'appellante aveva dedotto in primo grado, oltre che l'invalidità derivata, anche l'eccesso di potere per erroneità degli ulteriori accertamenti tecnici effettuati dall'ASL n. 11 (in data 27 luglio 2003 – cfr. nota in data 28 luglio) e dall'ARPAM (in data 1 agosto 2003 – cfr. nota in data 13 agosto 2003).
Anche dette censure non colgono nel segno.
Gli ulteriori accertamenti, infatti, hanno sostanzialmente riguardato la verifica della mancata esecuzione dei lavori e degli interventi di adeguamento ed ammodernamento delle stalle ordinati; ed hanno anche riscontrato un'intensa percepibilità di effluvi maleodoranti, a comprova della scarsa efficacia degli interventi di attenuazione delle esalazioni fatti dal ricorrente (irrorazione e nebulizzazione di sostanze igienizzanti; somministrazione di alimenti per migliorare la digeribilità dei mangimi), interventi all'evidenza indiretti e non strutturali, a differenza della maggior parte di quelli ordinati dal Sindaco.
Le valutazioni peritali presentate dall'appellante giungono, per quanto riguarda sia gli accertamenti originari sia quelli ulteriori, a conclusioni diverse da quelle dell'ASL, ma non evidenziano profili di evidente illogicità, incongruenza o scorrettezza tecnico-scientifica atti ad inficiarle. Per tale motivo, non possono neanche essere disposte, al riguardo, la verificazione o la consulenza tecnica richieste dall'appellante.
In conclusione, l'appello deve essere respinto.
7. Considerati la natura della controversia ed il tempo trascorso, sembra equo disporre l'integrale compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
04-10-2013 23:25
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