Se il collaboratore di giustizia detiene armi illegalmente va sospeso il programma di protezione
Consiglio di Stato Sez. Terza - Sent. del 24.04.2012, n.2415
Presidente Lignani - Relatore Stelo
Fatto e diritto
1. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio - Roma - Sezione I ter, con sentenza n. 202 del 15 dicembre 2011 depositata il 10 gennaio 2012, ha respinto il ricorso proposto dal signor V. B., collaboratore di giustizia, per l'annullamento della deliberazione n. 82 del 25 maggio 2010 con cui il Ministero dell'Interno - Commissione Centrale ex art- 10 della legge n. 82/1991, acquisiti i pareri favorevoli della Direzione nazionale Antimafia e della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, ha revocato il piano provvisorio di protezione nei confronti dello stesso e dei familiari.
A seguito di denuncia sporta dalla convivente e di perquisizione domiciliare eseguita presso l'abitazione protetta del signor B., ammesso al piano provvisorio con deliberazione della Commissione del 30 aprile 2009, il Servizio Centrale di Protezione, con nota del 2 febbraio 2010, ha comunicato che è stata rinvenuta una carabina Diana mod. F24, depotenziata e con matricola abrasata, abusivamente detenuta nonché diversi utensili da lavoro, provento di furto consumato presso un'abitazione della stessa località protetta; il signor B. quindi è stato deferito alla Autorità giudiziaria per il reato di ricettazione e per maltrattamento in famiglia.
La Commissione ha ritenuto che tale condotta del collaboratore avesse vanificato le finalità connesse alla protezione, avuto riguardo, nel bilanciamento degli interessi coinvolti, ai profili attinenti vuoi al merito della collaborazione che allo stato di pericolo, per cui ha disposto la revoca del programma provvisorio di protezione nei suoi confronti e, per l'effetto, dei suoi familiari.
I giudici di prime cure hanno condiviso la determinazione ministeriale, procedendo a una puntuale ed esauriente ricostruzione ed interpretazione della specifica normativa in tema di misure speciali di protezione dei collaboratori di giustizia, e in particolare, con riguardo al caso di specie, degli elementi di fatto e di diritto posti a base della ammissione al programma “provvisorio”, che è stato sottolineato, cessa di avere effetto se, decorsi 180 giorni, l'Autorità legittimata non abbia provveduto a formulare proposta di ammissione e la competente Commissione non abbia quindi deliberato in tal senso.
Nella fattispecie si tratta di revoca facoltativa, quindi sostanzialmente discrezionale, per cui stato di pericolo e collaborazione possono ben essere incisi dal reinserimento del soggetto protetto in vicende criminali e nella commissione di atti illeciti, incompatibili proprio con gli obblighi contrattuali assunti con la sottoscrizione del programma.
2. Il signor B., con atto notificato il 27 febbraio 2012 e depositato il 13 marzo 2012, ha interposto appello, con domanda sospensiva, riproponendo i motivi già dedotti in primo grado, e sottolineando la buona fede in cui si può incorrere nell'acquisto, soprattutto tramite Internet, di oggetti che poi risultino di dubbia provenienza, circostanza quindi che non può costituire sintomo di pericolosità sociale, posto che non si sono avuti sviluppi in sede giudiziaria; si ribadiscono l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione del provvedimento revocatorio, non atto obbligatorio, nonché la omessa comparazione dei vari interessi, compresi il contenuto della collaborazione e il pericolo per l'incolumità sua e dei familiari.
3. Il Ministero dell'Interno si è costituito con atto datato 21 marzo 2012 dell'Avvocatura Generale dello Stato, che ha depositato il 27 marzo 2012 memoria a sostegno della sentenza impugnata.
4. La causa, alla camera del consiglio del 30 marzo 2012, presenti i legali delle parti, è stata trattenuta in decisione ai sensi dell'art. 60 c.p.a.
5.1. L'appello è infondato, dovendosi confermare le esaurienti argomentazioni già svolte dai giudici di primo grado.
5.2. Nella fattispecie la vertenza si incentra sui presupposti e sui contenuti sostanziali posti a sostegno delle speciali misure di protezione disposte a favore dei collaboratori di giustizia e dei familiari ai sensi della legge n. 82/1991, e quindi sulla valenza, autonoma o congiunta, ai fini della cessazione o meno di quelle misure, delle violazioni del codice comportamentale, dell'attualità e gravità del pericolo per la loro incolumità, dell'apporto collaborativo prestato o ancora in atto e della conseguente permanenza di impegni giudiziari.
Il Consiglio, con numerose sentenze (fra le altre, VI Sezione n. 6548/2009 e n. 1995/2010 e da ultimo III Sezione n. 1685/2012) ha ricostruito, con estrema puntualità ed esaustività, il relativo contesto normativo di cui alla legge n. 82/1991 e la sua corretta lettura, in particolare per quanto concerne l'istituto della revoca di quelle misure e del programma speciale di protezione, e ad esse si fa rinvio, anche in sintonia con l'art. 74 c.p.a.
Ciò stante è indubbio che l'art. 13 quater, c. 2, della legge 82/1991, mentre nel caso di inadempimento dell'obbligo primario di collaborazione usa la locuzione “costituiscono fatti che comportano la revoca”, nel caso di inadempimento di altri obblighi, e segnatamente di quello di osservanza e collaborazione in relazione alle norme di sicurezza, usa la ben diversa espressione “costituiscono fatti valutabili ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione”, e indica, nel prosieguo della disposizione, quali sono gli elementi di siffatta valutazione.
Ne consegue che la cessazione delle misure protettive costituisce l'eccezione dovendo valutarsi se non sia misura sufficiente la sostanziale modifica, e comunque va tenuto in particolare conto del tempo trascorso dall'inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese, nonché delle situazioni di pericolo alla luce dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, delle caratteristiche della possibile reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese.
La violazione degli obblighi, e, segnatamente, dell'obbligo di “osservare le norme di sicurezza prescritte e collaborare attivamente all'esecuzione delle misure” è invece valutata dal legislatore con minor rigore, nel senso che la revoca delle misure deve rapportarsi anche a una valutazione comparativa rispetto ad altri due interessi essenziali in gioco, quello dello Stato a conservare la collaborazione, quello del privato alla vita e all'incolumità personale.
5.3. Ciò posto sul piano generale, per quanto concerne il caso di specie l'impugnato provvedimento di cessazione delle misure speciali di protezione stabilite in via provvisoria nei confronti del collaboratore B. e dei suoi familiari ha imputato all'appellante una condotta incompatibile con lo status di collaboratore e i comportamenti accertati sono sintomatici di continuazione delle precedenti condotte criminali, così vanificando le finalità stesse della protezione e la caratterizzazione funzionale del programma per di più ancora nella fase provvisoria e nell'attesa di proposta e di deliberazione del programma definitivo.
È ben vero altresì che quel provvedimento ha richiamato nelle premesse i presupposti normativi di valutazione dianzi richiamati, sia pure sinteticamente riferiti ai profili attinenti al merito delle collaborazione e allo stato di pericolo, con il conseguente venir meno anche dell'avvalersi della sua collaborazione protetta, comunque soggetta alle Autorità giudiziarie competenti.
D'altra parte sono stati acquisiti i pareri favorevoli della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, mentre le esigenze di sicurezza sono state adeguatamente considerate, posto che la posizione dell'interessato, come quelle dei familiari risulta rispettivamente segnalata, per il tramite del Servizio Centrale di Protezione, al Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, al Dipartimento della Pubblica sicurezza (U.C.I.S.) ed alla competente Autorità di PS per l'adozione delle misure ordinarie di protezione, proprio in conseguenza della determinazione della Commissione.
È da considerare infine che l'appello si limita a rinnovare censure già proposte in primo grado, per di più generiche e apodittiche, senza addurre alcun elemento e dato, probatorio della collaborazione in atto, degli impegni giudiziari in corso e in prospettiva, del pericolo per la incolumità sua e dei familiari. Per di più si accenna all'ipotesi della buona fede nell'acquisto degli oggetti, poi accertati come provenienti da furto nella zona, tutta da verificare, e la circostanza ha indotto il Servizio Centrale a scindere il nucleo familiare e a trasferirlo in due nuove e diverse località.
Né peraltro risultano agli atti proposte finalizzate nei termini previsti alla conferma del programma provvisorio, per cui resta, naturalmente, sempre salvo il potere della Commissione Centrale, in esito a rinnovazione/attualizzazione dell'istruttoria e della valutazione in conformità ai parametri di legge, di adottare ogni ulteriore provvedimento ritenuto opportuno.
6. Per le considerazioni che precedono l'appello è infondato e va respinto, così confermando la sentenza impugnata.
Considerate la natura e la complessità della controversia si ravvisano motivi per disporre la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Depositata in Segreteria il 24.04.2012
30-04-2012 00:00
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