Le dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale vanno vagliate ai sensi art. 3, c. 5, D.L.vo 251/07
Autorità: Cassazione civile sez. VI
Data: 24 settembre 2012
Numero: n. 16202
Classificazione
PROFUGHI
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente -
Dott. DI PALMA Salvatore - Consigliere -
Dott. MACIOCE Luigi - Consigliere -
Dott. DIDONE Antonio - Consigliere -
Dott. ACIERNO Maria - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 5338-2012 proposto da:
T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE
CLODIO 12, presso lo studio dell'avvocato RESTIVO DIEGO, che lo
rappresenta e difende unitamente all'avvocato PULITO VINCENZO, giusta
procura speciale in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE
INTERNAZIONALE DI CROTONE, PROCURATORE GENERALE DELLA CORTE D'APPELLO
DI CATANZARO, MINISTERO DELL'INTERNO ((OMISSIS));
- intimati -
avverso la sentenza n. 59/2011 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO del
10.2.2011, depositata il 14/02/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
26/06/2012 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO.
E' presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MAURIZIO
VELARDI.
(Torna su ) Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Catanzaro ha respinto la domanda di protezione internazionale, già oggetto di rigetto da parte della Commissione territoriale e del Tribunale in primo grado, proposta dal cittadino del Togo, T.A..
Quest'ultimo aveva dichiarato davanti alla Commissione territoriale di essere stato arrestato nel suo paese per complicità con il padre, attivista antigovernativo, e di essere riuscito fortunosamente a fuggire, allontanandosi dal Togo. La Commissione ed il Tribunale avevano ritenuto che non fossero stati forniti elementi di fatto sufficienti a verificare le modalità della persecuzione subita e le modalità di fuga narrate. La Corte d'Appello, investita anche di motivi relativi alla nullità del provvedimento adottato dalla Commissione per mancata traduzione del medesimo e per omessa audizione collegiale dello straniero, riteneva:
a) l'audizione individuale dello straniero, in mancanza di una contestazione tempestiva della modalità adottata, doveva presumersi che fosse stata richiesta dall'interrogando;
b) l'obbligo di traduzione previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4 aveva ad oggetto gli atti del procedimento e non il testo del provvedimento finale;
c) il racconto dello straniero non è verosimile per totale assenza di prove sulle circostanze narrate. Tale lacuna non può essere integrata da alcuno degli elementi suppletivi indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, sia per mancanza di riscontri oggettivi (articoli di stampa o altro) della veridicità delle dichiarazioni svolte, sia perchè la situazione del paese d'origine dello straniero, anche secondo il sito www.viaqqiaresicuri.it, non giustifica i timori persecutori del ricorrente essendo stata riscontrata l'abolizione della pena di morte e la istituzione di una Commissione d'inchiesta sulle violazioni dei diritti umani perpetrate dal 1958 al 2005, data in cui sono state indette libere elezioni. La richiesta di audizione del ricorrente in questo contesto politico- giudiziario non preoccupante è stata, di conseguenza ritenuta superflua, dal momento che anche a fronte di una narrazione più dettagliata delle ragioni della fuga, rimane una situazione obiettiva del paese d'origine dello straniero che non desta allarme.
Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero affidandosi a due motivi. Nel primo motivo è stata denunciata la carenza di motivazione della sentenza impugnata sia in ordine all'omessa giustificazione della mancanza di credibilità delle dichiarazioni dello straniero sia in ordine alla superficiale valutazione della situazione politica del paese di origine del richiedente, caratterizzata invece, secondo Amnesty International, nel 2010, da condizioni inumane di detenzione, da numerosi arresti di oppositori politici, detenuti in assenza totale di garanzie difensive, da una forte compressione della libertà di espressione, da una situazione politica molto incerta; da un alto numero di prigionieri politici e di coscienza. Nel secondo motivo è stata dedotta la violazione degli art. 1 e 33 della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 5 e 7, che definiscono le condizioni soggettive per il riconoscimento della condizione di rifugiato politico e la nozione di atti di persecuzione, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 che stabilisce i criteri di credibilità soggettiva del richiedente, quando sia privo di supporti probatori oggettivi ed, infine, l'art. 10 Cost., comma 3. Sotto il profilo della violazione delle garanzie procedimentali è stato, inoltre, censurato l'omesso svolgimento dell'audizione davanti alla Commissione in composizione collegiale e l'omessa traduzione del provvedimento della Commissione territoriale in una lingua conosciuta dal richiedente, con conseguente nullità del decreto in oggetto.
Le censure relative alle violazioni delle garanzie procedimentali, da affrontare preventivamente in ordine logico, devono essere disattese.
Sulla mancata audizione del richiedente davanti alla Commissione territoriale in composizione collegiale, è sufficiente rilevare, da un lato, la genericità della censura in quanto non corredata della specifica indicazione del vulnus subito dall'interessato in ordine all'insufficienza o al travisamento delle dichiarazioni rese, dall'altro, la facoltà degli organi giurisdizionali, ove ritenuta carente la predetta audizione, di reiterarla, ad istanza di parte o d'ufficio, se necessaria ai fini della completa istruzione della domanda. Il pieno svolgimento di due gradi di merito conduce, pertanto, ad escludere il rilievo autonomo del dedotto vizio, tenuto anche contro della generale portata del principio, affermato dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 12957 del 2011, ancorchè con riferimento al giudizio davanti alla Corte di Appello, della delegabilità degli incombenti relativi all'istruzione orale ad uno dei componenti del collegio, attualmente codificato nel novellato art. 350 c.p.c., comma 1 (comma modificato L. 12 novembre 2011, n. 183, ex art. 27, comma 1, lett. b). Anche per il vizio di omessa traduzione del provvedimento di diniego emesso dalla Commissione territoriale, deve procedersi ad analoga valutazione. La violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4 non ha determinato alcuna compressione effettiva delle garanzie processuali e difensive della parte che ha sempre tempestivamente attivato gli organi giurisdizionali competenti in modo pieno. Pur convenendo sull'erroneità della motivazione della sentenza di secondo grado che ha dichiarato ingiustificatamente limitato agli atti e non al provvedimento finale l'obbligo di traduzione, in contrasto con il consolidato orientamento della Corte di Cassazione al riguardo (Cass. 18493 del 2011 e 26480 del 2011), deve però escludersi che da tale omissione sia derivata una lesione processuale che, comunque, deve esser puntualmente dedotta ed allegata (Cass. 24543 del 2011 ed indirettamente 420 del 2012) e non solo genericamente dedotta.
Sono invece fondati gli altri motivi. La Corte d'appello, nel ritenere non verosimili le dichiarazioni del richiedente relative al rischio di persecuzione nel paese d'origine, ha del tutto omesso di valutare i criteri di credibilità soggettiva indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, essendosi limitata ad affermare la mancanza di riscontri obiettivi, invece d'indicare le ragioni dell'inattendibilità soggettiva del richiedente, con riferimento alle condizioni della fuga, alla tempestività della richiesta di protezione internazionale, alla coerenza intrinseca delle dichiarazioni, alle giustificazioni dell'assenza di documenti o prove. L'obbligo di cooperazione istruttoria che incombe sul giudice della protezione internazionale (S.U. 27310 del 2008;26056 del 2010) deve riguardare, in particolare, la specifica situazione di rischio di persecuzione o di pericolo qualificato, rappresentata dal richiedente e non genericamente ed esclusivamente la condizione generale del paese. Nella pronuncia, tuttavia, anche l'esame del quadro politico giudiziario e delle condizioni di sicurezza del Togo risulta del tutto carente. L'affermazione secondo la quale "il Togo è un paese relativamente sicuro", viene desunta soltanto dal sito del Ministero degli Esteri www.viaqgiaresicuri.it destinato ad informare turisti e cittadini stranieri che intendono recarsi nel paese oggetto d'indagine. A questa indicazione viene aggiunto che è stata abolita la pena di morte, che è stata istituita una commissione d'inchiesta per le violazioni dei diritti umani perpetrate dal 1958 al 2005 e che sono state indette libere elezioni nel 2005, al termine di una dittatura. Per queste ulteriori informazioni la fonte citata è Amnesty International. Manca un preciso riferimento cronologico alla situazione attuale come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), secondo il quale l'esame della domanda di protezione internazionale prevede la valutazione di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d'origine al momento dell'adozione della decisione. Non risulta, in particolare, dalla motivazione della sentenza, che le informazioni poste a base della decisione siano state assunte, secondo le modalità indicate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ovvero in virtù di dati aggiornati, richiesti e trasmessi dalla Commissione Nazionale sul diritto d'asilo (se non già reperibili in atti nel fascicolo della Commissione territoriale), i quali si fondano su fonti ACHNUR o del Ministero degli Esteri, così come recentemente stabilito da questa Corte nella pronuncia n. 10202 del 2011, così massimata: "Ai fini dell'accertamento della fondatezza di una domanda di protezione internazionale, il giudice di merito non può poggiare la propria valutazione sulla esclusiva base della credibilità soggettiva del richiedente, essendo tenuto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, ad un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l'esercizio di poteri-doveri officiosi d'indagine e di acquisizione documentale, peraltro derivanti anche dall'adozione del rito camerale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente asilo che la Commissione Nazionale, ai sensi del comma 3, art. 8 sopra citato, fornisce agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative".
La richiesta e l'adozione delle fonti indicate dal citato art. 8 non ha, peraltro, carattere esclusivo, ben potendo essere integrata da informazioni assunte, anche via web, attraverso altri canali d'informazione ma non può essere sufficiente, senza neanche aver dato conto dell'attivazione dei canali informativi previsti dalla legge, il riferimento a dati, cronologicamente generici e desunti da fonti riguardante categorie di soggetti, come i turisti od i cittadini stranieri, non comparabili con i richiedenti la protezione internazionale.
Il ricorso deve, in conclusione essere accolto, essendo state violate le norme relative alle modalità di accertamento dei fatti posti a base della domanda di protezione internazionale ed essendo risultata carente la motivazione relativa alla credibilità soggettiva ed alle condizioni oggettive del paese d'origine dello straniero. La pronuncia deve essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Catanzaro, in diversa composizione, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: nell'esame delle dichiarazioni del richiedente una misura di protezione internazionale la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente deve essere svolta alla stregua dei criteri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (verifica dell'effettuazione di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; la deduzione di un'idonea motivazione sull'assenza di riscontri oggettivi; la non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del paese; la presentazione tempestiva della domanda; l'attendibilità intrinseca), e non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, dando conto del loro scrutinio e l'acquisizione delle informazioni sul contesto socio politico del paese di rientro deve avvenire in correlazione con i motivi di persecuzione o di pericolo dedotti, sulla base delle fonti d'informazione indicate nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ed in mancanza, o ad integrazione di esse, mediante l'acquisizione di altri canali informativi, dando conto delle ragioni della scelta.
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P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d'Appello di Catanzaro in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2012
05-10-2012 00:03
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