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Sentenza

Il Comune è responsabile del sinistro occorso ad un soggetto che cade nelle scal...
Il Comune è responsabile del sinistro occorso ad un soggetto che cade nelle scale, non illuminate, di un edificio gestito dall'Ente territoriale comunale.
Corte di Cassazione Sez. Terza Civ. - Sent. del 21.12.2011, 27898

 

Svolgimento del processo

P.S convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il Comune, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito di una caduta. Espose che nel tardo pomeriggio del giorno 11 gennaio 1998, mentre percorreva la rampa di scale che dall' interno dell' edificio portava all'uscita, era scivolata su uno dei gradini, a causa della mancanza di illuminazione nonché dei detriti e ei calcinacci che imbrattavano il percorso.
Nella contumacia dell'Ente, il giudice adito, con sentenza del 4 giugno 2002, rigettò la domanda. Proposto gravame dalla soccombente, la Corte d'appello, in data 12 dicembre 2005, in riforma della decisione impugnata, ha condannato il convenuto al pagamento in favore della S. della somma di euro 19.000,00, oltre interessi e spese.
Avverso detta pronuncia hanno proposto separatamente ricorso per cassazione P.S. e il Comune di Roma.
La S. ha formulato un unico motivo.
Il Comune di Roma ne ha articolati due.
La S. , nel resistere con controricorso al ricorso della controparte, ha proposto, con atto notificato il 15 febbraio 2007, ricorso incidentale affidato a un solo mezzo.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il collegio ha raccomandato una motivazione particolarmente sintetica.

Motivi della decisione

1 Va preliminarmente disposta, ai sensi dell' art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi hinc et inde proposti avverso la stessa sentenza. Peraltro, il loro sovrapporsi temporale pone la necessità di definire l'oggetto del contenere.
2 La S. ha eccepito in memoria l' improcedibilità dell' impugnazione del Comune, per violazione dell' art. 333 cod. proc. civ., avendo l'Ente consegnato il ricorso per la notifica il 17 gennaio 2007, benché il giorno prima avesse ricevuto quello da essa medesima inoltrato.
L'eccezione è infondata.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che il principio di unità dell'impugnazione, sancito dall'art. 333 cod. proc . civ., implica che l'impugnazione proposta per prima determina la pendenza dell' unico processo nel quale sono destinate a confluire, sotto pena di decadenza, per essere decise simultaneamente, tutte le impugnazioni successivamente proposte avverso la stessa sentenza, di talché queste inevitabilmente assumono carattere incidentale; che, pertanto, nei procedimenti con pluralità di parti, una volta avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, gli altri litisconsorti, ai quali il ricorso sia stato notificato, debbono proporre, a pena di decadenza, le loro eventuali impugnazioni nello stesso procedimento e, perciò, nella forma del ricorso incidentale, ai sensi dell'art. 371 cod. proc. civ., in relazione all'art.
333 dello stesso codice; che, tuttavia, l'inosservanza di tale prescrizione, in ragione della mancanza di una espressa affermazione legislativa requisito di essenzialità del requisito formale, va apprezzata secondo i principi generali in tema di nullità, con la conseguenza che una volta disposta la riunione, ex art. 335 cod. proc. civ. l'inosservanza medesima non impedisce la conversione del secondo ricorso in ricorso incidentale, sempre che esso risulti proposto entro
quaranta giorni dalla notificazione del ricorso principale, e tanto per l'idoneità dell'atto al raggiungimento dello scopo (confr. Cass. civ. 30 dicembre 2009, n. 27887); che, in sostanza, solo nell'ipotesi, che qui non ricorre, di mancata riunione delle due impugnazioni, la pronuncia relativa alla prima, una volta intervenuta, rende improcedibile la seconda, atteso che, risultando ormai impossibile il simultaneus processus, si verifica un impedimento all'esame degli ulteriori gravami, in ragione della decadenza con la quale l'art. 333 cod. proc. civ. sanziona la prescrizione
dell'incidentalità delle impugnazioni successivamente proposte (confr. Cass. sez. un. 7 luglio 2009, n. 15843). È invece inammissibile il ricorso incidentale della S. E, invero, la consumazione del
diritto di impugnazione, conseguente alla proposizione di un ricorso principale per cassazione, esclude che la stessa parte, ricevuta la notificazione del ricorso di altro contendente, possa introdurre nuovi e diversi motivi di censura rispetto a quelli avanzati con il ricorso originario, ovvero reiterare i motivi già prospettati, mediante la notifica di un successivo ricorso incidentale che,
pertanto, va dichiarato inammissibile (Cass. civ. 12 giugno 2006, n. 13585, Cass. civ. 28 luglio 2005, n. 1581).
4 Passando quindi ad esaminare le impugnazioni incrociate della S. e del Comune di Roma, da qualificarsi, per quanto testé detto, l'una principale e l'altra incidentale, l'unico motivo di ricorso
di P. S. con il quale si denuncia violazione degli artt. 2059 e 2051 cod. civ. nonché dell'art. 185 cod. pen., in relazione alla omessa liquidazione del danno morale, è infondato perché la
quantificazione operata dal giudice d'appello che ha attribuito il complessivo importo di euro 19.000,00, di cui euro 15.000,00, per invalidià permanente, pari al 10% della capacità lavorativa generica applica correttamente il principio, ribadito dalle sezioni unite di questa Corte, della onnicomprensività della categoria del danno non patrimoniale con conseguente
preclusione di forme ristoro da lesione della salute, che si riducano in duplicazioni risarcitorie attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici (confr. Cass. civ. 11 novembre 2008,
n. 2672). Né d'altra parte la ricorrente ha evidenziato particolari profili del contesto fattuale di riferimento di cui il giudice di merito avrebbe fatto malgoverno, profili che renderebbero la liquidazione operata nella sentenza impugnata non satisfattiva dei danni da essa, in concreto, effettivamente subiti.
5 Quanto al ricorso del Comune di Rorna, il primo motivo, con il quale l'Ente lamenta violazione degli artt. 163 e 64 cod. proc. civ., nonché vizi motivazionali, in relazione alla ritenuta validità dell'atto introduttivo del giudizio, benché in esso fosse indicata una data a comparire anteriore a quella della notifica della citazione, è privo di pregio alla luce del principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, per cui l'errata indicazione in citazione della data dell'udienza di comparizione perché anticipata rispetto a quella di notifica, non integra un'ipotesi di nullità della citazione stessa tutte le volte in cui l'errore sia, per la sua grossolanità, immediatamente riconoscibile, con l'uso e l'ordinaria diligenza, come errore materiale, di talché il convenuto, ancorché non esperto di diritto, possa facilmente rendersi conto che l'anno indicato è, in realtà, quello immediatamente successivo alla notifica (confr. Cass. civ. 9 maggio 2006, n. 11780; Cass. civ. 11 agosto 2004, n. 15498; Cass. civ. 12 novembre 2003, n.17023 ). Ne deriva che la
sentenza impugnata ha deciso la questione in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte.
6 Parimenti infondato e poi il secondo motivo, con il quale il ricorrente , deducendo violazione dell'art. 2051 cod. civ. nonché vizi motivazionali, contesta l'applicazione della presunzione di responsabilità di cui alla norma codicistica richiamata. Contrariamente all'assunto dell' impugnante,
invero, l'affermazione del giudice di merito - secondo cui, una volta dimostrato che la caduta si era verificata lungo la scala di un edificio di proprietà dell' Ente, a causa della mancanza di illuminazione nonché della presenza di calcinacci sui gradini, spettava al convenuto provare di avere adottato tutte le misure idonee a scongiurare danni a terzi, prova che, nella fattispecie, non era stata fornita, applica correttamente i principi che presidiano la materia, principi in base ai quali la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall'art. 2051 cod. civ., prescinde e dall'accertamento del carattere colposo del comportamento del custode e dall'accertamento della pericolosità oggettiva della cosa, avendo natura oggettiva e necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra bene ed evento, di talché essa sussiste, in
definitiva, in relazione a tutti i danni cagionati dalla res, sia per la sua intrinseca natura, sia per l'insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito (Cass. civ. 7 aprile 2010, n, 8229; Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass. civ. 5 dicembre 2008, n. 28811) .
7 Per il resto le critiche, nella parte in cui si appuntano contro il riconoscimento di tale rapporto,
attengono a valutazione di stretto merito, incensurabile in sede di legittimità ove, come nella fattispecie, l'apprezzamento del decidente sia sorretto da un apparato argomentativo adeguato
e logicamente coerente (confr. Cass. civ. 10 maggio 2005, n. 9754) .
In definitiva entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
L'esito complessivo del giudizio consiglia di compensarne integralmente le spese tra le parti.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso n. 2940 del 2007 e il ricorso n. 3343 del 2007; dichiara inammissibile il ricorso n. 5513 del 2007. Compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio.

Depositata in Cancelleria il 21.12.2011
Avv. Antonino Sugamele

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