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Sentenza

Attività amministrativa, sentenza, mancata ottemperanza, danno non patrimoniale....
Attività amministrativa, sentenza, mancata ottemperanza, danno non patrimoniale. TAR Puglia - Bari Sezione II Sentenza 10 gennaio 2011 n. 19
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1319 del 2010, integrato da

motivi aggiunti, proposto da:

L. M., rappresentato e difeso dagli avv. Marcello Vernola e Massimo

Vernola, con domicilio eletto presso Marcello Vernola in Bari, via

Dante, 97;

contro

Regione Puglia, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Scattaglia,

con domicilio eletto presso l'Avvocatura Regionale in Bari, via

Dalmazia, 70;

Provincia di Bari;

per l'ottemperanza

della sentenza del T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II n. 2120/2010

notificata alla Regione Puglia ed alla Provincia di Bari

rispettivamente in data 17.6.2010 e 11.6.2010;

quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 22 novembre

2010, per il risarcimento del danno derivante dalla mancata

esecuzione della sentenza del T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II n.

2120/2010;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2010 il

dott. Francesco Cocomile e uditi per le parti i difensori l'avv.

Massimo Vernola e l'avv. Antonella Loffredo, su delega dell'avv. M.

Scattaglia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

La Regione Puglia con un primo decreto del Presidente della Giunta Regionale del 12.1.2010 n. 5 prendeva atto della disposizione del Presidente della Provincia di Bari n. 39/DP del 28.12.2009 e decretava di sostituire, in seno alla Commissione per l'abilitazione all'esercizio venatorio della Provincia di Bari, il sig. M. L. con il dr. G. L. quale Presidente della stessa.

Impugnati con un primo ricorso dal L. i suddetti atti innanzi al T.A.R. Puglia, sede di Bari, gli stessi venivano annullati con la sentenza n. 1129 del 25.3.2010.

Tuttavia l'amministrazione regionale decideva di reiterare la precedente determinazione e, previa rimozione in via di autotutela del decreto n. 5 del 12.1.2010, nelle more già annullato dal T.A.R. con la citata sentenza n. 1129/2010, adottava un nuovo decreto presidenziale n. 346 del 26.3.2010 disponendo ancora una volta la sostituzione del L. sempre con il dr. L. quale Presidente della Commissione per l'abilitazione all'esercizio venatorio della Provincia di Bari.

Il L. impugnava con un secondo ricorso tale decreto ed il T.A.R. Puglia, sede di Bari con la sentenza n. 2120 del 1 giugno 2010 annullava anche detto provvedimento.

Nonostante l'atto di diffida inviato dal L. alle amministrazioni competenti la Regione Puglia non provvedeva alla doverosa attuazione della menzionata sentenza n. 2120/2010 di questo T.A.R., attuazione implicante evidentemente la consequenziale reintegrazione dello stesso L. nell'incarico di Presidente della Commissione in esame.

Con il presente ricorso per ottemperanza il ricorrente L. M. contesta la mancata esecuzione da parte delle amministrazioni competenti della sentenza del T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II n. 2120/2010.

Tale sentenza è stata appellata dalla Regione Puglia dinanzi al Consiglio di Stato che con ordinanza n. 4654 dell'11.10.2010 ha respinto l'inibitoria proposta dall'amministrazione con condanna alle spese.

Si rammenta tuttavia che la durata dell'incarico quale componente della Commissione è di cinque anni ai sensi dell'art. 29, comma 4 legge Regione Puglia n. 27/1998 e che il L. veniva nominato Presidente della stessa con D.P.G.R. n. 896 del 20 ottobre 2005.

Pertanto il mandato del L. sarebbe comunque venuto a scadere in data 20 ottobre 2010 (termine ormai spirato).

Ne consegue che il ricorso introduttivo per ottemperanza deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse in quanto il ricorrente L. M. non ricaverebbe alcuna utilità pratica da una ipotetica sentenza di accoglimento di detto ricorso essendo ormai scaduto il termine suindicato e non potendo più essere reintegrato nell'incarico di Presidente della Commissione.

Quanto alla domanda risarcitoria formulata con ricorso per motivi aggiunti depositato in data 22 novembre 2010 nell'ambito del giudizio di ottemperanza, la stessa deve considerarsi certamente ammissibile ai sensi dell'art. 112 cod. proc. amm.

Invero secondo Cons. Stato, Sez. V, 23 novembre 2010, n. 8142 "Dopo l'entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, approvato con d.lg. 2 luglio 2010 n. 104, deve ritenersi non più applicabile il principio giurisprudenziale per il quale in sede di ottemperanza era possibile formulare richiesta di risarcimento, ma solo per i danni verificatisi in seguito alla formazione del giudicato e a causa del ritardo nella esecuzione della pronuncia, mentre il risarcimento dei danni riferibili al periodo precedente al giudicato doveva essere richiesto con un giudizio cognitorio da proporsi davanti al giudice di primo grado, atteso che ai sensi dell'art. 112, comma 4, di detto codice à ora ammessa la proposizione, nel giudizio di ottemperanza, di una azione risarcitoria anche per i danni riguardanti periodi precedenti al giudicato; peraltro, tale possibilità deve intendersi contenuta nei limiti temporali e sostanziali dettati dal precedente art. 30 e, in tal caso, il giudizio si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario.".

Deve pertanto ritenersi parimenti ammissibile un'azione risarcitoria formulata - come avvenuto nel caso di specie - in pendenza di un processo che solo in senso lato può definirsi di "ottemperanza" in base alla rubrica del Titolo I del Libro IV del codice del processo amministrativo ed alla rubrica dell'art. 112 cod. proc. amm., ma che in senso stretto è diretto alla mera esecuzione di una sentenza del T.A.R. non sospesa e quindi non ancora passata in giudicato (trattasi dunque di un giudizio non di vera e propria "ottemperanza" in senso tecnico, bensì di esecuzione di una sentenza di primo grado nell'ambito del quale il giudice amministrativo adito si limita ad esercitare i poteri inerenti al giudizio di ottemperanza al giudicato [in tal senso disponeva originariamente l'art. 33, ultimo comma legge n. 1034/1971 come novellato sul punto dalla legge n. 205/2000]).

Del resto lo stesso art. 112 cod. proc. amm. contempla una disciplina unitaria del giudizio di ottemperanza applicabile anche alla esecuzione delle sentenze amministrative di primo grado non sospese, sancendo nel contempo il principio in virtù del quale in pendenza di detto giudizio è comunque esperibile l'azione risarcitoria (cfr. in particolare commi 3 e 4).

Nel caso di specie l'azione risarcitoria esperita dal L. con ricorso per motivi aggiunti in pendenza del giudizio di ottemperanza ha chiaramente ad oggetto danni riguardanti periodi precedenti rispetto alla formazione del giudicato (posto che sulla sentenza n. 2120/2010 di questo T.A.R. non si è ancora formato il giudicato pendendo il giudizio di appello); siffatta azione risarcitoria in base alle considerazioni fatte proprie da Cons. Stato, Sez. V, 23 novembre 2010, n. 8142 deve ritenersi ammissibile.

Nel merito la domanda risarcitoria proposta da parte ricorrente deve essere accolta a fronte di un'attività amministrativa, posta in essere dalla Regione Puglia, palesemente ed ostinatamente illegittima sul piano amministrativo ed illecita sul piano civilistico (il L. ha ottenuto ben due sentenza favorevoli di questo T.A.R. [sentenza n. 1129/2010 e sentenza n. 2120/2010] non eseguite dalla amministrazione regionale resistente).

Preliminarmente si rammenta che secondo Cass. civ., Sez. III, 7 dicembre 2004, n. 22987 "In tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, l'unitarietà del diritto al risarcimento ed il suo riflesso processuale dell'ordinaria infrazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisce in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni cagionatigli da un determinato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta; ...".

Nella presente fattispecie il L. agisce in giudizio con il ricorso per motivi aggiunti al fine di ottenere il risarcimento del danno cagionato dall'azione amministrativa illegittima, danno genericamente indicato senza specificazione alcuna. Ne consegue che, in forza del menzionato principio dell'unitarietà del diritto al risarcimento e del suo riflesso processuale rappresentato dall'ordinaria infrazionabilit� del giudizio di liquidazione, la domanda risarcitoria azionata dal ricorrente L. M. deve intendersi come riferita a tutte le possibili voci di danno originate dalla condotta illecita posta in essere dalla P.A. convenuta (quindi sia il danno non patrimoniale che il pregiudizio economico).

D'altra parte ai sensi dell'art. 32, comma 2, prima parte cod. proc. amm. il giudice amministrativo qualifica l'azione proposta in base ai suoi elementi sostanziali evidentemente desumibili dal testo degli atti processuali di parte: nel caso di specie il ricorrente a pag. 4 del ricorso introduttivo fa chiaramente riferimento sia ad un pregiudizio derivante da "uno stress ed una sofferenza che si sostanzia in un danno all'immagine" (tale pregiudizio pu� essere ricondotto nell'alveo del danno non patrimoniale), sia ad un pregiudizio consistente nella mancata percezione dei gettoni di presenza (che indubbiamente costituisce un danno di carattere economico).

Pertanto la qualificazione ai sensi dell'art. 32, comma 2, prima parte cod. proc. amm. dell'azione risarcitoria esperita dall'odierno ricorrente con il ricorso per motivi aggiunti depositato in data 22 novembre 2010 in base ai suoi elementi sostanziali induce a ritenere che il L. abbia inteso riferirsi a tutte le possibili voci di danno originate dalla condotta illecita posta in essere dalla P.A. resistente nei suoi confronti.

Si rammenta inoltre che il danno risarcibile ai sensi dell'art. 112, commi 3 e 4 cod. proc. amm. � comprensivo anche dell'eventuale pregiudizio non patrimoniale patito da chi subisce l'inerzia della P.A. a fronte di una decisione favorevole del giudice amministrativo, posto che non sussistono ostacoli di carattere testuale o sistematico ad immaginare una siffatta domanda giudiziale proposta nel corso del processo di ottemperanza.

Viene in rilievo nella presente fattispecie in primis un danno non patrimoniale patito dal L. in conseguenza della mancata doverosa esecuzione da parte della P.A. di una sentenza del giudice amministrativo (la n. 2120/2010 di questo T.A.R.).

Con riguardo al danno non patrimoniale osserva Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972:

"Il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, � risarcibile - sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. - anche quando non sussiste un fatto-reato, n� ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: (a) che l'interesse leso - e non il pregiudizio sofferto - abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell'art. 2059 c.c., giacch� qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cio� di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); (b) che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia minima di tollerabilit� (in quanto il dovere di solidariet�, di cui all'art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); (c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualit� della vita od alla felicit�.".

Pi� di recente Cass. civ., Sez. Un., 19 agosto 2009, n. 18356 ha sottolineato che "In tema di responsabilit� per fatto illecito, rientra tra i principi informatori della materia, ai quali � tenuto a uniformarsi il g.d.p. nel giudizio di equit�, quello di cui al disposto dell'art. 2059 c.c. il quale, secondo una lettura costituzionalmente orientata, non disciplina un'autonoma fattispecie di illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella prevista dall'art. 2043 c.c., ma regola i limiti e le condizioni di risarcibilit� dei pregiudizi non patrimoniali, sul presupposto dell'esistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito richiesti dall'art. 2043 c.c., con la peculiarit� della tipicit� di detto danno, stante la natura dell'art. 2059 c.c., quale norma di rinvio ai casi previsti dalla legge ovvero ai diritti costituzionali inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria, e con la precisazione, in tale ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve riguardare l'interesse leso e non il pregiudizio in conseguenza sofferto, e che la risarcibilit� del danno non patrimoniale presuppone, altres�, che la lesione sia grave e che il danno non sia futile.".

Sul punto della risarcibilit� del danno non patrimoniale da attivit� amministrativa illegittima Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2010, n. 3397, approfondendo le tematiche gi� affrontate dalla su riportata sentenza di Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, ha rimarcato che:

"..., per effetto della lettura evolutiva dell'art. 2059 c.c. fornita dalla pi� recente giurisprudenza della Corte di Legittimit� (Cass. Civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827 e 8828; Cass. sezioni unite, 11 novembre 2008, n. 26972; 19 agosto 2009, n. 18356), il danno non patrimoniale deve ritenersi risarcibile non solo nei casi contemplati da apposita previsione di legge ma anche in caso di lesione dei valori fondamentali della persona tutelati dalle disposizioni immediatamente precettive della Carta Costituzionale. Si � in questo modo aderito ad un approccio ermeneutico che legge in senso elastico la tipicit� del danno non patrimoniale risarcibile, consentendo il ristoro del danno in caso di lesione di valori costituzionali primari, oltretutto non confinabili ad un numerus clausus in quanto ricavabili, in forza della clausola aperta di cui all'art. 2 della Costituzione, in base ad un criterio dinamico che consente di apprezzare l'emersione, nella realt� sociale, di nuovi interessi aventi rango costituzionale in quanto attinenti a posizioni inviolabili della persona.

L'ampliamento della categoria del danno non patrimoniale, categoria unitaria non scindibile in sottocategorie strutturalmente autonome, � tuttavia compensata, dall'introduzione di un limite ontologico e di un onere probatorio. Quanto al primo, in un quadro interpretativo attento al contemperamento tra i principi costituzionali di solidariet� e di tolleranza, il risarcimento del danno non patrimoniale costituzionalmente qualificato � stato ammesso nei soli casi in cui la lesione del diritto costituzionale sia qualificata dalla seriet� dell'offesa e dalla gravit� delle conseguenze nella sfera personale. Quanto al secondo aspetto la Cassazione, superando la teoria del danno evento, esige che il danneggiato fornisca la prova, oltre dell'evento dato dalla sussistenza di una lesione del diritto costituzionalmente primario che superi la soglia della tollerabilit�, anche della ricorrenza di significative ripercussioni pregiudizievoli sotto il profilo del danno conseguenza.".

Nel caso di specie pu� affermarsi che l'azione amministrativa, posta in essere dalla Regione Puglia, pervicacemente e reiteratamente illegittima (culminata da ultimo nella mancata doverosa esecuzione della sentenza di questo T.A.R. n. 2120/2010) abbia inciso negativamente su un diritto costituzionalmente tutelato del L. quale il diritto al lavoro (art. 4 Cost.), alla reputazione ed alla immagine (riconducibili, questi ultimi, entro l'alveo dei diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art. 2 Cost.) con una lesione di carattere non patrimoniale che si connota in termini di ingiustizia ex art. 2043 c.c., seriet� dell'offesa e gravit� delle conseguenze che ne sono derivate nella sfera personale del L. stesso ben oltre la soglia della normale tollerabilit�, cos� comportando un peggioramento della qualit� della vita dell'odierno ricorrente a causa della forzata rinuncia ad attivit� non remunerative fonti di benessere per il danneggiato e determinando altres� ripercussioni relazionali di segno negativo tali da capovolgere o quantomeno modificare in peggio l'esistenza del soggetto.

Pertanto la domanda risarcitoria azionata dal L. con ricorso per motivi aggiunti in corso di causa pu� ritenersi supportata da adeguati elementi probatori (il cui onere evidentemente grava in pieno su parte ricorrente ai sensi dell'art. 64, comma 1 cod. proc. amm. venendo in rilievo diritti soggettivi e quindi elementi che sono nella piena disponibilit� del ricorrente medesimo) in ordine ai requisiti oggettivo, soggettivo, eziologico propri dell'illecito aquiliano ex art. 2043 ed all'an del pregiudizio non patrimoniale dallo stesso patito, posto che, come evidenziato dallo stesso ricorrente, la sostituzione improvvisa ed illegittima del L. da una posizione di prestigio quale quella di Presidente all'interno di una commissione rilevante sul piano regionale e provinciale ha certamente, sia pure su basi presuntive fondate sull'id quod plerumque accidit, provocato uno stress ed una sofferenza (caratterizzati da seriet� e gravit�) nel medesimo ricorrente che si sostanzia in un danno non patrimoniale all'immagine, in un discredito sul piano sociale ed altres� sul piano del curriculum dello stesso L..

Come sottolineato da Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972 citata in precedenza il pregiudizio non patrimoniale diverso dal danno biologico pu� essere provato anche mediante il ricorso a presunzioni ("Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato. Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (art. 138 e 139 d.lg. n. 209 del 2005) richiede l'accertamento medico-legale, che non costituisce, per�, strumento esclusivo e necessario; infatti, come � nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice pu� non disporre l'accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l'indagine diretta sulla persona non sia possibile (perch� deceduta o per altre cause), ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze), avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Per gli altri pregiudizi non patrimoniali pu� farsi ricorso alla prova testimoniale, documentale e presuntiva.").

Detta tematica � stata ulteriormente approfondita da Cass. civ., Sez. Un., 22 febbraio 2010, n. 4063 con riferimento ad una fattispecie (demansionamento professionale) che presenta notevoli analogie con il caso di specie, avendo il complessivo contegno tenuto dalla Regione Puglia nei confronti del L. comportato una sorta di "ingiustificato demansionamento" dello stesso ricorrente:

"In tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non pu� prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo, dovendo il danno non patrimoniale essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravit�, conoscibilit� all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno.".

Nel caso di specie il ricorso introduttivo contiene - come visto - una specifica allegazione in ordine alla natura ed alle caratteristiche del pregiudizio non patrimoniale patito dal L..

In ordine al riparto dell'onere probatorio in tema di illecito aquiliano della P.A. Cons. Stato, Sez. V, 15 settembre 2010, n. 6797 ha affermato che "La domanda di risarcimento dei danni � regolata dal principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, per cui grava sul danneggiato l'onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (danno, nesso causale e colpa); segue da ci� che il risarcimento del danno non � una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale, richiedendo la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo dell'Amministrazione e del nesso causale tra l'illecito e il danno subito; in particolare il risarcimento del danno conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo � subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalit�, evento dannoso), alla dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, che l'aspirazione al provvedimento fosse destinata nel caso di specie ad esito favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorch� fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse, ma siffatto giudizio prognostico non pu� essere consentito allorch� detta spettanza sia caratterizzata da consistenti margini di aleatoriet�.".

Nel caso di specie sicuramente sono integrati gli estremi della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento facente capo al L. (diritti fondamentali al lavoro, alla reputazione, alla immagine), della sussistenza del dolo dell'amministrazione regionale (che pervicacemente - come visto - ha adottato provvedimenti sfavorevoli illegittimi nei confronti del L. e non ha mai dato attuazione alle sentenze del giudice amministrativo) e del nesso causale tra l'illecito e il danno subito (� evidente che questa reiterata azione amministrativa illegittima � causativa, secondo l'id quod plerumque accidit, di un pregiudizio non patrimoniale alla sfera dell'odierno ricorrente).

Peraltro sul punto della prova dell'elemento psicologico dell'illecito aquiliano della P.A. Cons. Stato, Sez. VI, 13 febbraio 2009, n. 775 ha affermato che:

"..., in presenza di un'attivit� illegittima posta in essere dall'Amministrazione e foriera di danno per il privato, quest'ultimo non sar� onerato di un particolare sforzo probatorio in ordine alla sussistenza di una condotta colposa da parte dell'Amministrazione, ben potendosi limitare ad allegare la sola illegittimit� del provvedimento quale elemento idoneo a fondare una presunzione (semplice) circa la colpa della P.A.

In tali ipotesi, spetter� quindi all'Amministrazione fornire la prova liberatoria a contrario, dimostrando in concreto che si sia trattato di un errore scusabile, configurabile - ad es. - in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione della norma, di formulazioni polisense di disposizioni di recente emanazione, ovvero di rilevante complessit� del fatto sotteso alla determinazione amministrativa.".

Nel caso di specie l'amministrazione regionale evocata in giudizio non ha fornito la prova liberatoria dell'assenza di colpa, n� ha dimostrato la sussistenza in concreto di un errore scusabile.

Inoltre Cons. Stato, Sez. V, 30 giugno 2009, n. 4237 ha specificato con riferimento alla lesione dell'interesse oppositivo del privato (ipotesi indubbiamente ricorrente nel caso di specie):

"Com'� noto, questo Consiglio (cfr. Cons. St., Sez. VI, 12 marzo 2004, n. 1261) ha precisato che mentre il danno c.d. da ritardo � normalmente individuato nella lesione di un interesse legittimo pretensivo, cagionata dal ritardo con cui la P.A. ha emesso il provvedimento finale inteso ad ampliare la sfera giuridica del privato, il danno c.d. da disturbo � caratterizzato dalla lesione di un interesse legittimo di tipo oppositivo e consiste nel ristoro del pregiudizio asseritamene subito in conseguenza dell'illegittima compressione delle facolt� di cui il privato cittadino era gi� titolare.

Il danno c.d. da ritardo � nella specie ravvisabile nella lesione dell'interesse legittimo pretensivo della Clinica, cagionata dal ritardo con cui la P.A. ha emesso il provvedimento finale di accreditamento provvisorio; il danno c.d. "da disturbo" � altres� evidente, posto che la Clinica agisce per ottenere il ristoro del pregiudizio patito in conseguenza dell'illegittima compressione delle facolt� di cui era gi� titolare (nella specie, in quanto convenzionata con il Servizio Sanitario Regionale per molteplici branche specialistiche gi� dal 1979).

Quanto ai presupposti e alle condizioni necessari per ammetterne la risarcibilit�, con riferimento al danno da disturbo, l'orientamento prevalente, cui il Collegio intende uniformarsi, osserva che, nel caso di procedimenti amministrativi coinvolgenti interessi di tipo oppositivo, la lesione dell'interesse implica ex se la lesione del bene della vita preesistente al provvedimento affetto da vizi di illegittimit�, sicch� l'accertamento della circostanza che la P.A. ha agito non iure di per se stesso implica la consolidazione di un danno ingiusto nella sfera giuridica del privato. In altri termini, la riscontrata illegittimit� dell'atto - che nella specie � intervenuta in via definitiva con decisione di questo Consiglio n. 2755/2005 cit. - rappresenta, nella normalit� dei casi, l'indice della colpa dell'amministrazione, indice tanto pi� grave, preciso e concordante quanto pi� intensa e non spiegata sia l'illegittimit� in cui l'apparato amministrativo sia incorso. In tale eventualit� spetta all'amministrazione fornire elementi istruttori o anche meramente assertori volti a dimostrare l'assenza di colpa. Il requisito della colpa della P.A., necessario ai fini del risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi, sussiste ogni volta che, in assenza di cause di giustificazione legalmente tipizzate, il provvedimento annullato sia stato emanato in violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vincolante (cfr. C.G.A.R.S., 18 aprile 2006, n. 153).".

Nel caso di specie l'accertamento in sede giurisdizionale della carattere "non iure" dell'attivit� amministrativa posta in essere dalla amministrazione regionale evocata in giudizio (che non ha dato tempestiva esecuzione alla sentenza di questo T.A.R. n. 2120/2010) con consequenziale lesione dell'interesse oppositivo dell'odierno ricorrente di per s� stesso implica la consolidazione di un danno ingiusto nella sfera giuridica del L.. In altri termini, la riscontrata illegittimit� dell'azione amministrativa - che nella specie � stata acclarata con due decisioni di questo T.A.R. mai eseguite - rappresenta l'indice della colpa se non proprio del dolo dell'amministrazione regionale, indice tanto pi� grave, preciso e concordante quanto pi� intensa appare essere stata nella presente fattispecie l'illegittimit� in cui l'apparato amministrativo � incorso per ben due volte. In tale eventualit� spettava pertanto all'amministrazione fornire elementi istruttori o anche meramente assertori volti a dimostrare l'assenza di colpa, amministrazione che all'opposto � rimasta inerte sul punto.

Quanto al profilo del quantum del danno non patrimoniale sofferto dal L., pu� farsi ricorso al criterio equitativo di cui all'art. 1226 c.c. stante l'estrema difficolt� di quantificazione dello stesso e riconoscersi al ricorrente la somma di . 10.000,00 (come dallo stesso quantificata nel ricorso per motivi aggiunti) da porre a carico unicamente della Regione Puglia.

Invero la domanda risarcitoria esperita dal L. nei confronti della Provincia di Bari con il ricorso per motivi aggiunti depositato in data 22 novembre 2010 deve essere respinta, posto che il fatto dannoso in esame (i.e. omessa esecuzione della sentenza n. 2120/2010 di questo T.A.R.) non � imputabile alla amministrazione provinciale che con decreto prot. n. 27/DP del 14.9.2010 disponeva di rinominare quale Presidente della Commissione il sig. L. in sostituzione del dr. L. G., trasmettendo contestualmente al competente Servizio Caccia e Pesca della Regione Puglia la stessa disposizione per i consequenziali adempimenti, dando cos� attuazione, per quanto di propria competenza, alla citata sentenza n. 2120/2010.

Dalle considerazioni espresse in precedenza discende la declaratoria di improcedibilit� del ricorso per ottemperanza per sopravvenuto difetto di interesse, l'accoglimento della domanda risarcitoria di cui al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 22 novembre 2010 e per l'effetto la condanna della Regione Puglia al risarcimento del danno non patrimoniale in favore del ricorrente L. M. liquidato in . 10.000,00.

Si rammenta che secondo Cass. civ., Sez. III, 30 settembre 2009, n. 20943 "La rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell'obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d'ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell'originario "petitum" della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi.". Nel caso di specie parte ricorrente si limita a chiedere la somma di . 10.000,00 senza specificare null'altro, ma possono essere ugualmente riconosciuti anche d'ufficio rivalutazione monetaria ed interessi costituendo - secondo la citata giurisprudenza della Suprema Corte cui questo Collegio ritiene di aderire - una componente dell'obbligazione di risarcimento del danno.

Ci� premesso, la complessiva somma di . 10.000,00 riconosciuta al L. a titolo di risarcimento del danno da illecito aquiliano della P.A., trattandosi di debito di valore, va rivalutata anno per anno secondo gli indici ISTAT con decorrenza dalla data dell'illecito (i.e. momento storico [12 gennaio 2010] di adozione del primo decreto [lesivo per la posizione del L., i.e. il n. 5] del Presidente della Giunta Regionale annullato da questo T.A.R. con sentenza n. 1129/2010), oltre interessi legali sulla somma non rivalutata, oltre gli interessi legali sugli importi annui della svalutazione, dalla relativa maturazione (cio� dalla scadenza di ogni anno successivo alla consumazione dell'illecito secondo il cosiddetto criterio "a scalare" individuato dalla Suprema Corte con la sentenza a Sezioni Unite n. 1712/1995).

Sul punto recentemente Cass. civ., Sez. I, 4 febbraio 2010, n. 2602 ha riaffermato la permanente validit� del principio del riconoscimento d'ufficio della rivalutazione monetaria nonch� degli interessi legali sulla somma rivalutata e dei criteri enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1712 del 1995 in tema di computo di rivalutazione ed interessi nelle obbligazioni di valore quali quelle derivanti - come nel caso di specie - da fatto illecito: "Il credito da occupazione appropriativa, trovando origine in un fatto illecito della p.a. ai sensi dell'art. 2043 c.c., costituisce una obbligazione di valore su cui devono riconoscersi d'ufficio la rivalutazione monetaria nonch� gli interessi legali sulla somma rivalutata, da calcolarsi secondo i criteri enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1712 del 1995.".

Per quanto concerne la domanda di risarcimento del danno economico patito dal L. non avendo lo stesso percepito i gettoni di presenza che ai sensi dell'art. 29, comma 6 legge Regione Puglia n. 27/1998 vengono versati ai componenti della Commissione per l'abilitazione all'esercizio venatorio, il quantum di detto pregiudizio deve essere commisurato alla sommatoria dei gettoni complessivamente corrisposti al dr. L. nel periodo in cui questi ha illegittimamente sostituito l'odierno ricorrente nella Presidenza della Commissione de qua (rectius a far data dal 12 gennaio 2010, giorno in cui � stato adottato il primo decreto del Presidente della Giunta Regione Puglia [il n. 5] di sostituzione in seno alla citata Commissione del dr. L. con il dr. L., decreto successivamente annullato con sentenza di questo T.A.R. n. 1129/2010, sino alla scadenza del mandato avvenuta in data 20.10.2010).

Ci� premesso, anche detta somma che sar� individuata secondo le modalit� sopra descritte, riconosciuta al ricorrente a titolo di risarcimento del danno patrimoniale da illecito aquiliano, trattandosi di debito di valore, dovr� essere rivalutata anno per anno secondo gli indici ISTAT con decorrenza dalla data dell'illecito (12 gennaio 2010), oltre interessi legali sulla somma non rivalutata, oltre gli interessi legali sugli importi annui della svalutazione, dalla relativa maturazione (cio� dalla scadenza di ogni anno successivo alla consumazione dell'illecito secondo il cosiddetto criterio "a scalare" individuato dalla Suprema Corte con la sentenza a Sezioni Unite n. 1712/1995) sino al soddisfo.

Sar� la stessa amministrazione regionale, in applicazione dei criteri indicati, a dover provvedere alla relativa determinazione secondo la previsione di cui all'art. 34, comma 4, prima parte cod. proc. amm.; solo in caso di mancato accordo si provveder� alla liquidazione in via giudiziale secondo quanto stabilito dallo stesso art. 34, comma 4, seconda parte cod. proc. amm.

La Regione Puglia parte resistente � pertanto condannata al pagamento della somma individuata a titolo di risarcimento del danno patrimoniale secondo le modalit� sopra descritte, previo accordo con il ricorrente da conseguirsi nel termine di giorni 90 (novanta) dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza.

Anche con riferimento al pregiudizio di carattere patrimoniale valgono le considerazioni espresse in precedenza: la relativa domanda risarcitoria esperita dal L. nei confronti della Provincia di Bari con il ricorso per motivi aggiunti depositato in data 22 novembre 2010 deve essere respinta, posto che il fatto dannoso in esame (i.e. omessa esecuzione della sentenza n. 2120/2010 di questo T.A.R.) non � imputabile alla amministrazione provinciale.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo per quanto concerne i rapporti tra ricorrente ed amministrazione regionale.

Si ravvisano gli estremi per dichiarare irripetibili le spese di giudizio nei confronti della Provincia di Bari in considerazione della adozione da parte del Presidente della Provincia del decreto prot. n. 27/DP del 14.9.2010.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. II, definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto integrato da motivi aggiunti, cos� provvede:

1) dichiara improcedibile il ricorso per ottemperanza per sopravvenuto difetto di interesse;

2) accoglie la domanda risarcitoria di cui al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 22 novembre 2010 e per l'effetto condanna la Regione Puglia al pagamento in favore del ricorrente L. M. a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale della somma di . 10.000,00, oltre interessi legali e rivalutazione secondo gli indici ISTAT a decorrere dalla data del 12 gennaio 2010 e gli ulteriori interessi sull'importo annuo della svalutazione dalla relativa maturazione;

3) accoglie la domanda risarcitoria di cui al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 22 novembre 2010 e per l'effetto condanna la Regione Puglia a corrispondere al ricorrente L. M. a titolo di risarcimento del danno patrimoniale la somma da determinarsi alla luce dei criteri specificati in motivazione, previo accordo con il ricorrente stesso da conseguirsi nel termine di giorni 90 (novanta) dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza;

4) respinge la domanda risarcitoria esperita nei confronti della Provincia di Bari con il ricorso per motivi aggiunti depositato in data 22 novembre 2010.

Condanna la Regione Puglia al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente L. M., liquidate in complessivi . 2.500,00, oltre accessori come per legge, da distrarsi in favore dei difensori del ricorrente dichiaratisi anticipatari.

Dichiara irripetibili le spese di giudizio nei confronti della Provincia di Bari.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit� amministrativa.

Manda alla Segreteria per gli adempimenti e le comunicazioni di rito.

Cos� deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Amedeo Urbano, Presidente

Vito Mangialardi, Consigliere

Francesco Cocomile, Referendario, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 10 GENNAIO 2011.
Avv. Antonino Sugamele

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